sabato 11 novembre 2017

Haec est Papalis Cathedra et Pontificalis

Postiamo una parte di un pregevole studio che bene si inquadra in una riflessione spirituale per i confusi giorni che stiamo vivendo.
Preghiamo per la Chiesa, il Papa e tutti i Consacrati.

Haec est Papalis Cathedra et Pontificalis
Praesidet et Christi de iure Vicarius Isti
Non debet vere nisi solus Papa sedere
Et quia iure datur, Sedes Romana vocatur
Et quia sublimis, alii subduntur in imis.


La Romanità della Chiesa: da Cesarea di Filippo al dominium mundi
di Giuliano Zoroddu

I Vangeli non sono racconti fantasiosi, ma resoconti storici: pertanto gli Evangelisti nell’opera di fissazione scritta dell’ευαγγέλιον (euanghélion, buona novella) si presero cura di indicarci tempi e luoghi di avvenimenti realmente accaduti. 
Mi occuperò qui dei luoghi, di due luoghi particolari e del loro perché. 
Non so se coloro i quali mi leggeranno, si siano mai posti la domanda sul perché Nostro Signore Gesù Cristo nell’atto di conferire a san Pietro il primato di governo sul Collegio Apostolico e su tutta la Chiesa, abbia scelto proprio Cesarea di Filippo e il Lago di Tiberiade. 
Nell’economia della salvezza nulla è senza senso: pare pertanto ragionevole pesare che non senza il consiglio della divina Provvidenza colui il quale avrebbe fissato la sua Cattedra episcopale in Roma sia stato esaltato al culmine apostolico proprio in due località strettamente legate non già all’Impero Romano in generale, ma all’Imperatore stesso. Partendo da questi presupposti, vorrei condividere con voi alcune riflessioni sulla Romanità della Chiesa a livello e spirituale e temporale, che potrebbero tornare utili per barcamenarci fra i flutti di questo nostro tempo sconquassato.

Cesarea di Filippo (attuale Banyas, Israele) fu costruita dal tetrarca Erode Filippo sul sito dell’antica Panea, alle fonti del Giordano, in onore di Augusto, cui pure dedicò un tempio che troneggiava dall’alto della rocca. Qui, verso la metà dell’anno 29, Gesù costituì Simon Pietro, che per primo lo aveva riconosciuto come “il Cristo, il Figliuolo del Dio vivente” (Matth. XVI, 6), pietra basilare (in aramaico Kepha = Roccia) della Chiesa che avrebbe fondato. Come fa notare l’abate Ricciotti l’immagine usata da Gesù fu agli uditori “tanto più chiara davanti alla visione della roccia materiale che sostiene il tempio dedicato al signore del Palatino” 1. Tiberiade invece fu fondata da Erode Antipa nel 20 d.C. in onore dell’imperatore Tiberio con lo scopo di farne il centro del Regno di Galilea. Sulle rive del lago che da essa trae nome il Risorto apparve agli Apostoli e confermò a Pietro il ministero di pascere tutto il suo gregge (Cfr. Ioann. XXI, 1-17).

I due avvenimenti, narrati il primo da san Matteo e il secondo da san Giovanni, insegnano con chiarezza adamantina la dottrina cattolica secondo cui “il primato di giurisdizione in tutta la Chiesa di Dio fu promesso e dato immediatamente e direttamente da Cristo Signore al beato Apostolo Pietro […] ed al solo Simon Pietro diede Gesù, dopo la sua Risurrezione, la giurisdizione di sommo Pastore e Rettore su tutto il suo ovile” 2. 
Il succitato passo giovanneo infatti, nella sua versione greca, parla di “τὰ ἀρνία” (agnelli = fedeli), “τὰ πρoβὰτια” (pecorelle = chierici), “τὰ πρόβατα” (pecore madri = vescovi), il che fa esclamare al Crisostomo aver sparso il suo preziosissimo Sangue il Cristo “per redimere quelle pecorelle, che affidò a Pietro e ai suoi successori” 3. 
Che in san Pietro fossero riconosciute queste prerogative primaziali ce lo attesta indirettamente il suo coapostolo Paolo il quale tre anni dopo la sua conversione si recò a Gerusalemme al solo scopo di “vedere Pietro” (Gal. I, 18) . 
Commenta il Padre Sales, Professore di Sacra Scrittura all’Angelicum e Maestro del Sacro Palazzo sotto Pio XI: “benché chiamato ed istruito immediatamente da Gesù Cristo, san Paolo credette suo dovere di visitare san Pietro, non per imparare da lui il Vangelo, ma per conoscerlo e rendere omaggio al Capo del collegio apostolico e di tutta la Chiesa. In queste parole si ha una conferma del primato conferito a san Pietro, come riconoscono tutti i santi Padri” 4. 
Siccome poi nell’anno 42 il Principe degli Apostoli e Vicario di Cristo, fissò in Roma la Cattedra definitiva del suo Episcopato, consacrandola infine col suo stesso sangue nel 64, la Chiesa di Gesù Cristo ha – oltre a quelle di Unità, Santità, Cattolicità e Apostolicità – la nota della Romanità. 
Si badi bene a non considerare quest’ultimo come una carattere minore, esclusivo magari della sola Chiesa Latina o un residuo di una mentalità “esageratamente” romanocentrica, anti-protestante e anti-bizantina: al contrario esso è il carattere che racchiude in sé gli altri poiché essi “si riscontrano solo nella Chiesa che riconosce per capo il Vescovo di Roma, successore di san Pietro” 5. 
Pertanto il dottissimo Leone XIII, riprendendo il pensiero di san Cipriano 6 , con lapidaria sentenza ci insegna che “la causa efficiente dell’unità nel Cristianesimo è la Chiesa Romana” 7 e non può essere altrimenti se crediamo fermissimamente con sant’Ireneo (un orientale del II secolo, mica Umberto di Silva Candida!) che con questa Chiesa “per una [sua] più forte supremazia – (po[ten]tiorem principalitatem) – è necessario che concordi ogni Chiesa” 8. 
Esso è il carattere che maggiormente mette in evidenza come nell’unità del Cristo non vi sia differenza fra Giudeo e Greco, fra circoncisi e incirconcisi, onde al Corpo Mistico di Lui si può applicare ciò che il pagano Claudio Rutilio Namaziano cantava di Roma idolatra: “Fecisti patriam diversis gentibus unam […] urbem fecisti, quod prius orbis erat” 9. Dopotutto, rigettata che fu Gerusalemme deicida e votata alla distruzione, la Città Santa della Nuova ed Eterna Alleanza è Roma: “Roma è la nuova Sion, e romano è ogni popolo che vive di fede romana” 10. Pietro quando arrivò a Roma ne iniziò la pacifica conquista, lo aiutò in seguito san Paolo e, migrati essi al Cielo, proseguirono l’opera le schiere dei Martiri che finalmente uscirono dall’oppressione dietro ai labari di Costantino Magno, vittorioso non già per gli auspici dei demoni dell’aria ma per la potente virtù della Croce di Cristo. Lo stesso avvenne in ogni parte dell’impero, senza che le massime autorità di esso ne fossero pienamente consce, quantunque “crescesse per tutto l’Oriente l’antica e costante opinione che fosse scritto nel destino del mondo che dalla Giudea sarebbero venuti, in quel tempo, i dominatori del mondo” 11. L’Urbe era “ignara dell’autore della sua elevazione” 12 dirà san Leone Magno: eppure tutta la sua grandezza era un dono di Dio, come ben ci spiega sant’Agostino nel De civitate Dei. Augusto non ebbe la minima idea che sotto il suo regno Dio s’era fatto Uomo nascendo dalla Vergine; Tiberio che pure, come ci dice la Tradizione 13 , voleva inserire il Nazareno nel Pantheon, non riconobbe in lui l’unico vero Dio da cui deriva ogni potestà e per cui i re regnano; gli altri, chi più chi meno, perseguitarono la Chiesa. 
Ma lo stesso santo Pontefice rivolgendosi alla stessa Urbe, ormai liberata dai lacci del diavolo, le ricorda: “[Pietro e Paolo] ti hanno innalzata a tanta gloria, che, divenuta nazione santa, popolo eletto, città sacerdotale e reale e, per la Sede augusta del beato Pietro, la capitale del mondo intero, stendi la tua supremazia, grazie alla religione divina, assai più lontano che non fu per la dominazione terrena” 14. 
Per inciso, non si può non accennare a quanto fu foriera di discordia la distinzione fra vecchia e nuova Roma operata al momento della fondazione di Costantinopoli: “Gl’Imperadori fecero quella distinzione per stare a pari con Augusto: i Patriarchi per non comparire da meno di san Pietro. 
Ma come agl’Imperadori bastava, ad argomento di distinzione, il non esservi più seggio imperiale nell’antica Roma, ai Patriarchi non bastava, perché in quella era il papale seggio. Quindi un irragionevole studio a distinguersi dai Latini; e si afferrarono alla barba, alla moglie, al pane col lievito nell’eucaristia, e, quel che è peggio, al non voler credere lo Spirito Santo procedente dal Figliuolo” 15. 
Ma torniamo al nostro tema. 
L’impero di Roma battezzato in Costantino e Teodosio entrò nell’impero di Cristo e sebbene il trono occidentale cadde sotto i colpi dei Barbari, l’Impero, giusta la sentenza dell’Angelico Dottore “non è cessato, ma da temporale si è mutato in spirituale” 16 dimodoché, per citare colei che scoprì la tomba e le reliquie di san Pietro, “all’impero caduco fondato da Augusto, subentrò l’impero perenne della Chiesa universale, cioè cattolica” 17. 
Ma chi è il capo di questo impero spirituale certo, ma incarnato? 
Capo invisibile è ovviamente il Cristo “Rex regum et Dominus dominantium” (Apoc. XIX, 16), sommo Sacerdote, Re e Profeta, Autore del Sacerdozio e del Regno; Capo visibile è il suo Vicario che con Cristo fa una cosa sola e che partecipa della medesima plenitudo potestatis di Lui. 
È un po’strano pensare che quell’uomo di Betsaida, il pescatore impetuoso e tenero al contempo, sia stato elevato a tanta dignità da superare, nella potenza del suo Signore, la possanza di quelli che Virgilio celebrò come i padroni del mondo e di esserne in un certo qual modo e soprattutto nella persona dei suoi successori, l’erede. 
È difficile da credere, lo ammetto, ma ascoltiamo l’Apostolo: “Le debolezze del mondo ha scelto Dio per svergognare i forti, e le cose vili del mondo e le spregevoli elesse Dio, le cose che non son nulla, per annientare le cose che sono; acciocché nessun individuo si glorii al cospetto di Dio” (1Cor. I, 27-29). 
E pienamente consapevole di ciò la Santa Chiesa nell’ultimo responsorio del secondo Notturno del Mattutino dei santi Pietro e Paolo, canta: “Tu es pastor ovium, princeps Apostolorum: tibi tradidit Deus omnia regna mundi”.

Tutta in questo senso si orientò la magnifica costruzione del cerimoniale papale: la persona Papæ (l’istituzione divina e non l’uomo peccabile) con la fronte redimita dal sacro triregno (evoluzione del frigium), rivestita del manto e dei sandali rossi (insegne regio-sacrali di origine etrusca) e servita da clero e laicato, da Vescovi e Principi, si manifestava, quale veramente era (ed in teoria è), l’apice, oltre che della Chiesa Universale, della Società temporale, l’apice della città della terra indirizzata alla città del Cielo, l’apice del Regno sociale di Nostro Signor Gesù Cristo. 
Per cui se l’Imperatore si trovava a Roma era chiamato a servire il Sommo Pontefice durante le funzioni, a tenere la briglia o la staffa durante le processioni a cavallo, a rendere a Cristo in lui l’omaggio della devozione e dell’obbedienza nella fede. 
Possiamo ben dire che il Papato è l’unica autorità “mondialista” secondo Dio, che la società da esso vivificata – la Christianitas – sia stata incarnazione nella storia della Verità rivelata, antica e sempre giovane al contempo.

( Tutto l'articolo e fonte Radio Spada QUI )