martedì 17 ottobre 2017

Fare teologia in ginocchio o mettere la teologia in ginocchio?

Un saggia riflessione  di un Teologo che attinge  sapienza dall'adorazione eucaristica, dalla preghiera e dalla Parola di Dio.

Teologia in ginocchio
di don Elia
...

L’intellettualismo, di una sponda o dell’altra, soffoca l’unione con Dio, che è un anticipo della visione beatifica nei limiti della nostra condizione terrena. 
I suoi frutti, a seconda dell’ambiente, sono il sentimentalismo, il volontarismo e il formalismo.
Il primo, di solito, nasconde una paurosa ignoranza religiosa da rigetto e, molto spesso, una moralità quanto meno dubbia, piena di sconti e compromessi giustificati con un falso fervore. Il secondo crede di risolvere tutti i problemi con poco illuminati sforzi ascetici o con un attivismo sociale del tutto analogo a quello di un non-credente.
Il terzo sostituisce la relazione con Dio con una serie di prestazioni rituali che dovrebbero appagarlo e zittirlo. 
In tutti e tre i casi l’uomo si soddisfa da sé in una dinamica solipsistica, ma quel che è peggio è che il Dio vivente, in definitiva, potrebbe anche non esistere – a rigor di logica, anzi, sarebbe meglio che non ci fosse, perché fa saltare tutto il sistema. 
È molto più comodo rimpiazzarlo con un’idea, una velleità o un’emozione.

≈≈≈

Naturalmente c’è una bella differenza tra il fare teologia in ginocchio e il mettere la teologia in ginocchio.
La prima via è quella dei Padri della Chiesa, dei rappresentanti della teologia monastica e dei teologi che si sono fatti santi. 
La seconda è quella di una pseudoteologia razionalistica, storicistica e revisionistica completamente succube di una certa scuola tedesca che ha culturalmente colonizzato, fra l’altro, anche l’America Latina. 
La falsa teologia germanica è a sua volta prona alla cattiva filosofia di Kant, Hegel e Heidegger, che è assolutamente incompatibile con la visione cristiana, per il semplice motivo che è contraria alla retta ragione. 
Pur con le debite differenze, il pensiero di questi autori sposta tutto il peso, nel processo conoscitivo, dalla realtà oggettiva all’intelletto umano, che finisce con l’essere determinato dalla storicità.
Se infatti i trascendentali e le categorie che rendono possibile la conoscenza esistono soltanto nella mente, senza essere ancorati all’essere, la realtà si trasforma di pari passo con l’evoluzione delle culture e l’identità dell’uomo si dissolve in un caleidoscopio di opinioni cangianti.

Tutto l'articolo e fonte dello stesso: La scure ( QUI )