sabato 7 maggio 2016

Carlo Magno "in lui non c'erano tracce di pacifismo ne' di buonismo semmai la consapevolezza della missione storica da lui incarnata"

Dite al Papa che Carlo Magno fermò i musulmani…
 
Ah, chissà che ne avrebbe pensato Papa Leone III, colui che incoronò Carlo Magno imperatore del Sacro Romano Impero, del premio dedicato a Carlo Magno, e consegnato quest’anno a Papa Francesco. 

Cioè il riconoscimento col nome dell’imperatore che incarnò efficacemente la sintesi della tradizione romana e di quella cristiana come ingredienti essenziali dell’Occidente europeo e che lottò contro la minaccia islamica, scongiurando l’invasione del continente e subendo anche dolorose sconfitte contro i Mori come quella di Roncisvalle (da cui si alimentò poi l’epopea letteraria della Chanson de Roland del miles christianus che si immola nella lotta contro i saraceni), viene attribuito al pontefice che, più di tutti nell’ultimo secolo, predica l’integrazione con il mondo islamico, la necessità di accogliere e mescolare le diverse civiltà, suggerendo il modello di una società multiculturale e multiculti, in cui dobbiamo solo farci contaminare senza difendere chi siamo.

Ecco, vorremmo davvero capire che ci azzecca assegnare questo premio, conferito peraltro proprio dalla città di Aquisgrana, allora capitale del Sacro Romano Impero, a Papa Francesco «in tributo al Suo straordinario impegno a favore della pace, della comprensione e della misericordia in una società europea di valori». 
Non c’erano tracce di pacifismo né di buonismo in Carlo Magno, semmai la consapevolezza della missione storica da lui incarnata e da portare avanti, con l’uso delle armi e con la fioritura delle arti. C’era il senso di una grandezza europea da far risorgere e da tutelare, dai nemici interni e soprattutto esterni. 
C’era la necessità di non far soccombere il continente all’invasione, con la presa d’atto che cedere allora avrebbe significato l’islamizzazione dell’Europa e un destino di subalternità per l’Occidente da quel momento in avanti.

Carlo Magno (e chi lottò contro i Mori prima di lui) allora ci salvò, e lo fece sulla base di un’identità che andava preservata e non contaminata, che non prevedeva accoglienza, ma semmai scontro, e animata da una tradizione che non poteva essere rinnegata né svenduta al nemico. 
Il fiero senso della grandezza di una civiltà.

Sapeva, Carlo Magno, che la sopravvivenza dell’Occidente passava dalla difesa dei suoi baluardi e della sua storia, e non dalla “capacità di integrare, dialogare”, come predica oggi Papa Francesco, o addirittura di promuovere “un’identità dinamica e multiculturale”. 
Né si sognava, Carlo Magno, un’Europa “chiamata a diventare modello di nuove sintesi e dialogo”, che “portasse impressi i tratti di varie culture e la bellezza di vincere le chiusure”. 
Avesse ragionato così, l’imperatore, l’Europa sarebbe stata bell’e invasa nel IX secolo, e oggi avremmo un continente pieno di muezzin e moschee e donne velate, altro che dialogo e apertura alle altre culture… 
Dovunque l’islam ha attecchito, non ha mai cercato l’integrazione e il confronto, la sintesi e l’incontro, ma sempre si è imposto, sostituendosi alle civiltà precedenti, anzi resettandole, facendone terra bruciata.  
Ci vorrebbe allora un discorso come quello di Ratisbona di Papa Ratzinger che sottolinei l’inconciliabilità della violenza con la fede e soprattutto con una fede animata dalla ragione, come è quella occidentale; e ribadisca i torti storici dell’islam nell’abbinare libro e spada, facendo l’uno ispiratore della seconda. 
E ci vorrebbe pertanto un discorso che esalti la forza dell’Europa – dopo i suoi errori storici e dilanianti conflitti di religione interni – di emanciparsi da quel modello teocratico, promuovendo un’ideale di società laica; ma che allo stesso tempo la inviti a non dimenticarsi della storia e della fede che intesse le sue radici (per credenti e non) e a recuperare l’orgoglio della propria appartenenza, con la capacità unica al mondo di abbinare libertà e identità.

È questo che ci rende diversi. 
È questo spirito che dovrebbe nutrire l’assegnazione del premio Carlo Magno. Ed è questa cornice di valori che rende il destinatario di quel riconoscimento completamente inappropriato. 
No, forse neanche Leone III avrebbe apprezzato la scelta di darlo a Papa Francesco…