lunedì 26 maggio 2014

La Beata Mattia di Matelica e l'Umore Sanguigno


Dal CORRIERE ADRIATICO di Ancona, del 25 maggio 2014
MATELICA 
- Non accenna a fermarsi il pellegrinaggio nel santuario della beata Mattia a Matelica dove da alcuni giorni la reliquia sanguina. 
La mano sinistra e i piedi della beata (fu proclamata tale nel 1765 da papa Clemente XIII) appaiono macchiati di scuro, tracce di 'umore sanguigno' secondo una perizia del 1972 dell'Istituto di Medicina legale dell' Università di Camerino. Un fenomeno documentato dalle cronache locali a partire dal 1536, che si è ripetuto nel 1902 e, appunto, nel 1972. I pellegrini parlano di un "miracolo", altri di "presagio negativo", mentre le clarisse, custodi della reliquia, affermano che questa "sudorazione sanguigna" è "la dimostrazione del grande amore della beata Mattia per la sua città natale".
La Beata Mattia, clarissa del monastero che oggi porta il suo nome, nacque a Matelica nel 1253 e nel 1270 entrò in monastero. Nel 1319, dopo 46 anni come superiora del monastero, morì. Nel 1536, durante la seconda traslazione del corpo, si scoprì che le sue spoglie trasudavano una sorta di umore sanguigno, che venne asciugato dalle suore di allora con tele di lino. La stessa cosa avvenne nel 1758. 
Fu dichiarata beata nel 1765 dal pontefice Clemente XIII. 
Nel 1759 fu aperta l'urna e si vide che il corpo era intatto, i teli che ricoprivano le mani ed i piedi erano macchiati di sangue.
La certificazione di questo fenomeno in epoca moderna si è avuta il 13 settembre 1972, nelle analisi effettuate dall'istituto di Medicina Legale dell'Università di Camerino che, a seguito di indagini ematologiche su cinque reperti intrisi di umore così si pronunciò: "
Le macchie presenti in tutti i cinque reperti sono certamente costituite di sangue, piuttosto invecchiato". 
Nel 2009 è stato attivato il processo per la sua santificazione e, dopo la trasmissione degli atti della Beata al Vaticano, si è concluso l'iter procedurale. 
Ora si attende la sua santificazione.
Nel corso dei secoli sono state raccolte diverse testimonianze sui presunti miracoli operati dalla suora. 
Nel 1397, un uomo condannato a morte la pregò e riuscì ad uscire di prigione, diverse persone che la pregarono riuscirono a guarire miracolosamente. Una bambina che a 18 mesi non sapeva ancora parlare, iniziò a dire parole, con alcune decine di prodigi raccolti nel corso dei secoli. 
Tra i miracoli recenti la guarigione dal cancro nel 1941 di un uomo di Arcevia, nel 1955 di una donna di Matelica, di un medico napoletano e nel 1986 di un bambino affetto da paresi ostetrica.

Nella giornata di ieri sono iniziate le verifiche e gli accertamenti per monitorare il fenomeno nel corso del tempo. 
Centinaia di fedeli, anche di paesi limitrofi nella giornata di ieri hanno raggiunto la Chiesa dove si trovano i resti della clarissa tra incredulità e stupore. 
In molti gridavano al "miracolo". 
Il sindaco Paolo Sparvoli, nel pomeriggio di ieri ha attivato una sottoscrizione cittadina per accelerare il processo di santificazione della Beata Mattia.



Beata MATTIA NAZZAREI Monaca clarissa di Matelica 
LA VITA E IL CULTO DELLA BEATA MATTIA 
Date e notizie secondo la tradizione e le pergamene
1 marzo 1253: dai coniugi Sibilla e Guarniero Nazzarei nasce a Matelica di Macerata la Beata Mattia (data tradizionale).
1270: Mattia entra nel monastero delle Clarisse “Santa Maria Maddalena” di Matelica, che più tardi sarà chiamato monastero della “Beata Mattia”.
10 agosto 1271: professione religiosa, ossia totale dedizione a Dio e oblazione dei suoi beni al monastero.
1273: è Abbadessa del monastero.
28 dicembre 1319: Superiora da 46 anni, se ne vola al Cielo (data tradizionale).
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15 gennaio 1320: prima traslazione del Venerato Corpo della Beata al lato destro dell’Altare Maggiore (tradizione).
1536: seconda traslazione e prima manifestazione dell’Umore Sanguigno.
1758: terza traslazione. 

Il Corpo viene posto sotto l’Altare di Santa Cecilia, presto intitolato “Beata Mattia”.
27 luglio 1765: il pontefice Clemente XIII la dichiara Beata e ne approva il Culto, concedendone l’ufficio e la Messa.
6 ottobre 1811: sacrilega asportazione del Corpo della Beata Mattia fino a Macerata da parte delle truppe francesi.
1 gennaio 1812: il Corpo della Beata ritorna fra la gioia di tutti nella chiesa del Suo monastero.
5-12 settembre 1920: solenni feste per ricordare il sesto centenario della morte della Beata. 

Il Corpo viene trasportato dalla propria chiesa a quella di S. Francesco.
6-13 settembre 1953: solenni feste per ricordare il settimo centenario della nascita della Beata. 

Il Corpo viene trasportato nelle principali chiese della città.
9-12 settembre 1965: festeggiamenti per ricordare il bicentenario della Sua Beatificazione (1765-1965).


13 settembre 1972: l’Istituto di Medicina Legale di Camerino, a seguito di indagini ematologiche, certifica che l’umore dei diversi reperti presi in esame è “… veramente sangue”.
2 luglio 1973: la Beata viene collocata sotto l’Altare Maggiore, dove ogni giorno accoglie le preghiere dei Suoi devoti per presentarle al Padre Celeste.
LA PATRIA DELLA BEATA MATTIA: MATELICA 

La nascita, l’infanzia e la Sua consacrazione
In mezzo ad una ridente vallata, tra il monte San Vicino e il monte Gemmo, si ammira la graziosa città di Matelica, bagnata dalle acque del fiume Esino e del torrente Rio Imbrigno. 

Fin dai primi secoli del Cristianesimo fu sede vescovile, incorporata poi a quella di Camerino sino al 1785. Attualmente è Diocesi “Fabriano-Matelica”.
In ogni tempo fiorirono in Matelica uomini illustri. Vi nacquero San Sollecito e il Beato Gentile dell’Ordine dei Minori, missionario martirizzato in Tauris nel 1340. Figli di Matelica furono anche il cardinale Campanelli, Accursio vescovo di Pesaro, Camillo Campanelli vescovo di Perugia, mons. Piersanti cerimoniere pontificio, che lasciò alla sua città un pregevole museo, la serva di Dio Domenica Boldrini, l’arcivescovo Gaudenzio Bonfigli ed Enrico Mattei. Ma la gloria, per la quale il nome di Matelica risuona benedetto persino nella lontana America, è il fiore celestiale che in essa sbocciò.
La famiglia Nazzarei, una delle più illustri e antiche di Matelica, verso la metà del secolo XIII, fu allietata dalla nascita di una graziosa bimba. Al sacro Fonte fu chiamata Mattia, che in lingua ebraica significa: “data da Dio”, quasi ad indicare un grande dono che la Provvidenza faceva
alla famiglia, alla città, al mondo, dove avrebbe continuato lo splendore che già aveva irradiato la santa vergine Chiara d’Assisi, la quale, proprio in quell’anno, chiudeva la sua terrena esistenza.
Il secolo in cui nacque non fu certamente dei migliori. 

Il timore di Dio sembrava spento: frequenti le acerbe discordie, l’ipocrisia, l’ambizione, le eresie, gli scismi.
Eppure, fra tanto fango, Iddio seppe far germogliare eletti ed olezzanti fiori di virtù, tra i quali la nostra Beata.
La piccola Mattia, unico fiore del giardino dei coniugi Nazzarei, crebbe circondata da un vero amore cristiano; perciò, fin dai suoi primi anni, il suo cuore si orientò verso Dio.
I genitori si consolavano nel contemplare la loro figlia crescere umile e intelligente. 

Il padre sognava già di darla in sposa ad un ricco giovane; ma altre erano le aspirazioni della pia fanciulla. Mattia sentiva ingigantirsi nel cuore il desiderio di unirsi indissolubilmente a Gesù Cristo nel Chiostro ove le consacrate cantano continuamente le lodi del Signore.
MATTIA: SPOSA ESEMPLARE DEL SIGNORE
Esisteva in Matelica fin dal 1230 il monastero “Santa Maria Maddalena”, ove vivevano una vita evangelica le donne che per amore di Gesù vi si erano rinchiuse. 

Mattia ne frequentava spesso la chiesa e sentiva aumentare sempre più l’attrattiva per un tal genere di vita. 
Questa risoluzione però non piacque alla madre che fece di tutto per dissuaderla. 
Il padre Guarnerio morì quand’era fanciulla.
Emula dell’eroico coraggio di Chiara d’Assisi e della di lei sorella Agnese, Mattia abbandona tutto e fugge di casa. 

Va al monastero di S. Maria Maddalena, si presenta alla Badessa e la prega che per l’amore di Dio l’accetti fra le povere Clarisse e le dia l’abito della penitenza. La prudente Superiora pensa di convincerla a far ritorno in famiglia; ma l’ardita postulante, non persuasa, si ritira nell’oratorio a pregare. Con le sue mani si recide le bionde trecce, indi dinanzi all’immagine del Crocifisso fa questa preghiera, che riportiamo tradotta da un antico manoscritto:
“O Gesù, mio dolcissimo Signore, aiutatemi con i Vostri lumi in questa prova che mi ritarda l’ingresso nel Vostro santuario. Io sono, o Signore, Vostra creatura e Voi siete mio Creatore; Voi mi avete fatta a Vostra immagine e somiglianza, e però Vi prego a non abbandonarmi. Voi sapete che per amor Vostro ho rinunziato alle ricchezze e alle gioie del mondo; (…) unicamente per servire con tutto il cuore Voi. In Voi, o Signore, ho riposta ogni mia speranza”.
Mattia vuole essere tutta di Dio, solo di Dio, sempre di Dio! Viene accolta. Piena di fervore, desidera acquistare ogni giorno di più la perfezione. Noncurante di sé e della nobiltà dei natali, si sottopone alle opere più umili del monastero. Non solo di giorno, ma anche di notte si dedica al soave esercizio della preghiera, nella quale effonde gli affetti più teneri e offre a Dio il suo cuore, restando spesso assorta in pensieri celesti.
E Gesù, compiacendosi del fervore della nostra cara novizia, le comunica favori e consolazioni, e la istruisce nella virtù. Mattia va ripetendo spesso: “Signore, Ti rendo infinite grazie dei doni concessimi e Ti prego come nostro Redentore, che mi voglia soccorrere in tutti i bisogni come soccorresti tanti e tanti servi Tuoi, e dammi forza e vigore ch’io possa resistere alle false lusinghe di questo misero mondo”.
Mattia si prepara al sospirato giorno in cui si sarebbe indissolubilmente unita al suo Signore: raddoppia mortificazioni e preghiere, per purificare l’anima sua e ricevere la grazia dell’innocenza, che la professione religiosa produce.
Il 10 agosto del 1271, per mezzo del notaio, rinuncia a quanto possedeva donando tutto al monastero ove fa la Professione Solenne con la gioia di cui Dio suole ricolmare le Sue anime elette. 

A Mattia però non mancano tribolazioni, perché il maligno non cessa un istante di muoverle guerra; ma Ella gli resiste energicamente con la preghiera. 
Il suo cibo e bevanda sono esclusivamente pane e acqua, fatta eccezione per la sola domenica, nel qual giorno accetta alla sua mensa erbe e legumi. Queste e altre austerità pratica con fervente devozione per poter ricambiare la sofferenza patita durante la crocifissione da Gesù, suo Divino Sposo. Il suo incedere sempre umile, modesto e disinvolto; il suo parlare dolce; il suo operare semplice rivivono l’esempio della Madre Santa Chiara.
Negli Atti di Beatificazione si legge che le Consorelle cercavano di imitarla con santa emulazione, vedendo i cari esempi di virtù con i quali Ella le incoraggiava a vivere con Cristo povero, obbediente, casto.
Il tutore legale di Mattia agì in modo da portarla fuori dal monastero. Lei dovette sottostare; ma facendo ricorso al giudice vicario del Papa tramite le consorelle, poté rientrare ben presto.
Nel monastero matelicese si conservano molte pergamene del secolo XIII, alcune delle quali sono riassunte al termine del presente libro. Sono un centinaio gli atti notarili del periodo di vita della Beata. Parte di essi sono stati scritti in occasione della professione solenne delle religiose; altri riguardano le interrelazioni con le autorità ecclesiastiche; in maggior parte sono procure per l’amministrazione delle proprietà immobiliari.
In data 21 aprile 1273, poco dopo che la Beata Mattia era stata creata abbadessa, il Vicario del Papa nella Marca, don Tommaso, esortava i fedeli cristiani a fare elemosina al monastero di Matelica perché le religiose erano nella necessità di costruirsi una cisterna, cioè un pozzo di raccolta delle acque, ed ai benefattori concedeva una indulgenza. In quel periodo risultano in monastero trentuno religiose, compresa l’abbadessa e anche tre “conversi”.
In data 28 febbraio 1286 il vescovo di Camerino, don Rambotto, incoraggiava l’abbadessa e le monache a perseverare nella volontaria professione della virtù della povertà. Concedeva ai benefattori, dopo il sacramento del perdono, l’indulgenza di cento giorni in ogni domenica della corrente quaresima fino all’ottava di Pasqua. Sono testimonianze chiare dello stile di vita adottato dalla Beata sull’esempio della Regola di Santa Chiara di Assisi.
Ecco i nomi delle oltre cinquanta religiose testimoniate dagli atti notariali dal 1273 al 1311, riunite dalla Beata e da Lei amorevolmente guidate nel cammino della purificazione interiore, della libertà spirituale e della contemplazione divina:
Agata, Agnese, Alluminata, Angelica, Altegrina, Amadea, Andreina, Aurea, Aviadea, Barbara, Bartolomea, Benvenuta, Berardesca, Caradonna, Caterina, Cecilia, altra Cecilia, Chiarella o Clarella, Cri-stiana, Cristina, Daniela, Datadeo, Diotama, Eugenia, Eugenia, Filippuccia, Donna Filippa, Francesca, Gera, Giacoma, Giacomuccia (altra), Giovanna, Giustina, Graziadeo, Guiduccia, Isabetta, Isaia, Lavinia, Lucia, Manfreduccia, Mansueta, Margherita, Marta, Mattiola (omonima dell’abbadessa), Mita, Rosa, Simonetta, Sperandia, Tomasuccia, Tuttasanta, Vittoria.
La Beata Mattia era una donna coraggiosa e prudente, tanto da vincere le ripetute controversie per l’accoglienza che ebbe a concedere alle monache matelicesi di Sant’Agata che avevano richiesto di essere accolte a Santa Maria Maddalena, cedendo nella professione di obbedienza anche i loro beni, tra cui il loro luogo che era un povero monastero o casa situata in vicinanza alle clarisse. 

Alla fine delle vertenze, i due monasteri restarono uniti con gran gioia delle venute che dichiararono che non avrebbero potuto vivere decorosamente nel luogo da loro abbandonato.
Donna forte, la Beata Mattia si ritrovò processata per aver accolto la professione religiosa della giovane Angelica. 

Il tutore della ragazza e dei beni di costei, che aveva fatto la professione il 19 aprile 1273, dopo undici mesi era ricorso al Vicario della Marca per riportarla a casa. 
Al processo la Beata e le consorelle si adoperarono affinché il Vicario parlasse di persona con la stessa professa.
Risultò che non era stata arbitrariamente trattenuta in monastero, al contrario, la giovane voleva con libertà e sincerità consacrarsi. 

In conclusione Angelica restò assieme con la Beata seguendone la direzione spirituale.
Una sorpresa per gli studiosi è il nome che troviamo in due atti capitolari del 1287 nei quali la stessa Mattia è chiamata Matelda. 

Si sa che il nome di Matelda è stato reso famoso da Dante che scrive come Matelda lo guida dalla sommità del Purgatorio alla beatitudine contemplata in Paradiso. L’Alighieri la presenta nei canti finali della seconda cantica (Purgatorio 28, 29, 30, 31, 32, 33) come splendida donna illuminata dai raggi dell’Amore Divino. 
Questa Matelda è simbolo della piena libertà del cuore divenuto padrone di ogni passione e reso ardente nel volere la perfezione dello spirito. 
Il sommo poeta chiedeva a Matelda di guidarlo per ravvivare “la tramortita virtù”. 
Gli studiosi della Divina Commedia sono concordi nel dichiarare Matelda una donna storicamente
vissuta; ma non sanno con chi identificarla e suggeriscono dubbiosamente o Matilde di Canossa o Matilde di Hockeburn, oppure verosimilmente una donna virtuosa che per Dante, durante la giovinezza, fu d’esempio tanto da indurlo alla conversione interiore. 

Nulla, quindi, impedisce di pensare che il poeta, viaggiando dall’Umbria alle Marche, abbia ammirato e lodato le virtù della nobile Matelda di Matelica.
...
Un dipinto, che si ritiene di poco posteriore alla morte della nostra Mattia, ci rappresenta questa eroica Consorella con tonaca e manto grigio e cordone pendente, piedi scalzi protetti da semplici zoccoli: ecco il corredo materiale di Suor Mattia Nazzarei; ma sotto queste meschine vesti la pia suora nascondeva un prezioso corredo di virtù, noto solo a quel Dio che intuisce e scandaglia il cuore dell’uomo.
I DUE BINOMI DI MATTIA ABBADESSA: CHIESA-EUCARESTIA MONASTERO-MONACHE
Mattia viveva tranquilla i suoi giorni nel servizio di Dio e nell’amore delle consorelle, delle quali sinceramente si riteneva l’ultima; per la sua lodevole condotta, per l’esatta osservanza della Regola, per la sua pietà e zelo, era di esempio a tutte le consorelle.
Secondo la tradizione esercitò l’ufficio di Superiora fino alla sua beata morte.
Durante il suo governo suor Mattia condusse a termine due imprese materiali, assai ardue, se si pensa che la comunità viveva in estrema povertà: la CHIESA e il MONASTERO.
La chiesa era troppo piccola e poco conveniente alla maestà di Dio; il monastero era troppo angusto per accogliere le numerose giovani che chiedevano di vivere la Regola di Santa Chiara.
La fiducia della nostra Beata nella Provvidenza celeste trionfò. Si mise all’opera, cominciando dalla Casa di Dio. 

Appena terminata la chiesa, mise mano al monastero: in breve se lo vide realizzato.
Ora la chiesa procurò di riscaldarla con un infuocato amore a Gesù Eucarestia. 

Nei dubbi, nelle tribolazioni e nelle gioie correva al Tabernacolo: vi restava assorta per lunghe ore, ne usciva rafforzata.
Popolò il monastero di vergini, che Mattia amò di tenerissimo affetto. 

Le sue cure più amorose furono per le monache inferme e tribolate, rendendo meno dolorosa la malattia con le più delicate premure e, con parole dolci, inculcava la pazienza di cui Ella nell’atto stesso dava mirabile esempio.
A proposito della sua grande fede un antico manoscritto narra quanto segue.
Mentre la Beata Mattia esercitava il delicato compito di superiora, una monaca di nome suor Chiarella dava da bere alle monache un vino guasto. 

Spesso la Beata l’ammoniva dicendo: «O Suora Chiara, quel che il Signore ci dona dobbiamo gustarlo buono, per la Sua bontà e carità, senza la quale le porte del Cielo non ci verranno aperte». 
La detta suora, tentata come sempre, andando un giorno alla cantina e volendo cavare il solito vino guasto, tolse lo zipolo dalla botte, aspettando che il vino uscisse fuori, ma con sua grande meraviglia il vino non venne. 
Piena di vergogna, andò con grande timore dalla Beata che si recò in cantina, dov’era la botte, seguita da tutte le Consorelle, le quali tentarono anche loro di spillare il vino, ma senza alcun risultato. 
Finalmente la Beata posò le sue sante mani sopra la botte, rivolse una preghiera al Signore e, subito, venne fuori un vino ottimo. Suor Chiarella, toccata dalla Grazia e illuminata dallo Spirito Santo, divenne una monaca di santa vita.
Rimangono ancora due doghe e nella botte, chiamata “della Beata”, possiamo attestare che anche nel 1935 si è verificato come la Beata Mattia venne in soccorso delle sue Consorelle. Suor Marta Mosciatti, di Matelica, monaca esemplare, con la fede viva in Dio e nella protezione della Beata, avendo trovato in una botte vino deteriorato al massimo, lo versò nella famosa botte e tosto divenne vino gustoso.
FUOCO DI CARITÀ
Suor Mattia che tanto amava Dio, amava il prossimo. 

La sua carità la rendeva sensibile alle sventure del prossimo: sentiva come propri gli altrui dolori, piangeva con gli afflitti, consolava i mesti con le parole che recavano pace e serenità, tanto che ognuno partiva confortato e guarito e lei si meritò il titolo di “madre della carità”.
Gli storici rammentano un fanciullo di Matelica, che un giorno, rientrando in casa di corsa, urtò nel ciglio della porta sì malamente da perdere i sensi. 

Per tre settimane rimase senza parola e a stento prendeva soltanto un po’ di bevanda; per quante cure gli facessero non accennava a guarire, anzi, per mancanza di alimento, deperiva ogni giorno di più.
La povera madre, desiderosa di riavere sano il figliolo, lo portò da suor Mattia, pregandola con lacrime di restituirle sano il figlio. Mattia si rivolse a Dio con fervida preghiera. 

Come l’ebbe finita, il giovanetto si scosse, fissò lo sguardo sulla sua benefattrice e corse tutto allegro nelle braccia della madre, la quale non poteva credere ai suoi occhi per l’istantanea guarigione del figlio.
Anche i peccatori avevano un posto distinto nel Suo cuore: li accoglieva amorevolmente, parlando loro di Dio e della Sua infinita misericordia. 

Di molti ottenne la conversione. 
Quando poi si mostravano restii alle sue parole, Ella con fervorosa preghiera importunava il Signore, perché si degnasse di toccare il loro cuore; e, per ottenere più efficacemente l’effetto, raddoppiava orazioni e digiuni, perché quanti ricorrevano alla sua materna carità fossero consolati.
IL “DIES NATALIS” DI MATTIA
Mattia presagì vicino il giorno della sua morte.
Alla voce che la chiamava rispose: “Eccomi”!
Volle rivedere le sue figlie dicendo loro: «Questa notte, al Mattutino, è l’ultima ora e fine della mia vita: è tempo di andare al Padre». 

La buona Madre diede a tutte la sua santa benedizione esortandole a seguire l’esempio di Nostro Signore Gesù Cristo, per possedere il Regno dei Cieli. Continuò dicendo che dovevano osservare principalmente tre cose: la castità, l’obbedienza e la povertà: «Vi dico care figlie che piace più a Dio la santa obbedienza che il sacrificio. 
Portate rispetto alle vostre maggiori sull’esempio di Gesù Cristo che fu obbediente fino alla morte di croce. Osservando l’obbedienza sarete gradite a Dio. 
La terza cosa che vi raccomando è la santa CARITÀ : questa supera tutte le altre; la carità ci fa stare con Dio e Dio con noi. Io mai abbandonerò questo monastero; sempre ne sarò la vigile custode! 
Voi però compatitevi scambievolmente, amatevi sempre perché Dio è Amore!».
Un antico manoscritto narra che, mentre la Madre parlava, un vivo splendore l’avvolse illuminando il monastero: la Beata Madre rendeva il suo spirito al diletto Sposo Gesù Cristo, che con la gloria eterna remunerava una vita pura e penitente.
SEPOLCRO GLORIOSO
Era appena spirata, quando Iddio manifestava già con nuovi prodigi la gloria della sua sposa fedele. 

Quel Sacro Corpo tosto prese un aspetto maestoso e dolce, emanante fragranza di Paradiso.
La notizia si diffuse rapidamente, riempiendo tutti gli animi di profondo cordoglio. 

Ci fu un incessante accorrere di fedeli, che volevano contemplare ancora una volta le celesti sembianze della loro protettrice, da cui spirava aria di Paradiso e celeste fragranza. 
Le esequie si convertirono in un trionfo: accorsero malati, zoppi, ciechi, muti, sordi e al tocco di quelle membra verginali acquistarono la salute.
Un certo Attuccio, figlio di Buon Giovanni degli Atti, soffriva di tale paralisi da dover camminare sì curvo, da toccare quasi col capo le ginocchia. 

Gli infelici genitori avevano sperimentato tutto per avere la guarigione: ma tutto era riuscito inutile. 
La povera madre addoloratissima sentì nascere in cuore la fiducia vedendo tanti altri infelici guariti dalla Beata Mattia, la cui salma era ancora esposta pubblicamente in chiesa. S’appressò alla bara con il figlio, il quale al solo contatto si sentì subito sanato come se non avesse avuto mai alcuna infermità.
Molte altre prodigiose guarigioni si ebbero in quei giorni memorandi. 

Fu il popolo a chiedere una degna sepoltura, ma si dovette seguire le consuetudini dell’epoca e solo dopo 18 giorni le monache, con il permesso delle autorità religiose, pensarono di chiamare un valente medico di Camerino, Mastro Bartolo, e sotto la sua guida la disseppellirono. 
Il Corpo ancora flessibile e incorrotto emanava soave profumo. 
Mastro Bartolo, secondo l’usanza del tempo, avrebbe dovuto imbalsamarla; ma, quando alla prima incisione vide uscirle dalle vene sangue vivo e in quantità, si arrestò.
A seguito di ciò il Corpo fu posto in un’urna elegante, collocata alla parte destra dell’Altare Maggiore, alquanto elevata da terra con innanzi un’inferriata. 

Fu preso un calco del suo volto, secondo la tradizione.
PROCESSO CANONICO PER LA BEATIFICAZIONE E DECRETO DI BEATIFICAZIONE DI PAPA CLEMENTE XIII
Il processo canonico per la beatificazione della nostra Beata Mattia durò dal 1759 al 1765, quando fu approvato il suo culto basato sulla “fama della Santità della Vita, delle virtù e dei miracoli”…, e “sopra l’immemorabile di Lei culto”, con queste parole: «Diciamo, decretiamo, dichiariamo e definitivamente sentenziamo che risulta esercitato il culto e la pubblica venerazione verso la B. Mattia Nazzarei, culto di cui non c’è memoria dell’inizio e che tuttora viene tributato».
Espletate tutte le pratiche richieste presso la S. Congregazione dei Riti, il Papa Clemente XIII pose la sua approvazione al decreto di beatificazione il 27 luglio 1765 e così la Beata Mattia fu iscritta nel catalogo ufficiale dei Beati. 

Per raggiungere questa meta si erano vivamente interessati presso il Vaticano Giorgio III re di Inghilterra; i cardinali Oddi e Acciaioli; molti vescovi tra cui quelli di Camerino, Macerata, Osimo, Senigallia, Rimini, S. Severino, ecc.; il generale dei Minori Osservanti; i Capitoli di Fabriano e Matelica; le autorità civili e altri. 
Grande fu l’entusiasmo della popolazione matelicese e i festeggiamenti durarono più giorni.
LA PERLA DELLA BEATA: L’UMORE SANGUIGNO
I prodigi che la Beata andava operando le crearono una fama che varcò i confini della sua Matelica, e le procurarono un continuo accorrere di fedeli che riverenti e riconoscenti si prostravano dinanzi al suo sepolcro.
Nel 1536, dal luogo in cui era stato posto diciotto giorni dopo la sua morte, il Venerato Corpo fu messo in un luogo migliore e più comodo per i fedeli.
Il 22 dicembre 1758 fu trasportato sotto l’altare di Santa Cecilia, altare laterale destro della chiesa, che nel 1765, con la sua proclamazione a Beata e con il riconoscimento del culto, venne subito intitolato alla Beata.
Se si eccettua l’infelice parentesi dal 6 ottobre al 31 dicembre 1811, quando le soldatesche napoleoniche sacrilegamente lo asportarono dal suo Altare e lo portarono fino a Macerata, il Corpo della Beata è stato nella Sua chiesa, voluta e realizzata dal fuoco della sua carità.
Ora il fatto che costituisce la caratteristica fondamentale, è quel prodigioso Umore Sanguigno, che emana dal Suo Corpo e dalle Sue Reliquie.
Si legge infatti negli Atti di beatificazione che nella traslazione del 1536 ricominciò tosto a sudare tanto, che quelle Suore usavano asciugatoi di lino per asciugarlo.
Nella ricognizione giuridica del 1756, appena aperta la cassa, si effuse un soavissimo odore e il Corpo fu trovato intero: la carne era sì disseccata, ma intera; nell’occhio destro semichiuso si scorgeva la pupilla; nelle mani e nei piedi la carne si cominciava a consumare, ma la braccia erano flessibili; l’abito e il velo erano pure bene conservati.
Quando il 22 dicembre 1758, prima d’essere posta nella sua nuova sede, fu riaperta la cassa, si verificò allora quanto era avvenuto nel 1536: infatti la pezza di lino, più volte raddoppiata, che avvolgeva il Corpo della Beata, fu vista intrisa di Umore Sanguigno da tutto il popolo e lo attestarono i medici presenti.
L’Autorità Ecclesiastica, il 17 marzo 1759, in presenza di testimoni, aprì l’Urna e vide che dell’Umore Sanguigno erano macchiati i teli sui quali poggiavano le mani e i piedi; il viso trasudava ancora, fu ricoperto con un candido fazzoletto di lino: in meno di due minuti comparve chiazzato in più luoghi di Umore Sanguigno. 

A tal prodigio fu presente lo stesso vescovo mons. Francesco Viviani, ed il dottor Paolo Prosperi ne fece una dettagliata relazione, confermata con solenne giuramento da testimoni.
Il vescovo fece altra ricognizione, con assistenza di testimoni, il 13 maggio successivo. 

Il fenomeno fu sempre lo stesso: man mano che si cambiavano le pezzuole bagnate ed altre se ne sostituivano, tosto queste venivano ancora intrise da detto Umore. 
Il fatto si è ripetuto negli anni successivi.
L’11 giugno 1921 il P. Raffaele Tittoni, Guardiano dei Francescani e Confessore delle Clarisse, si avvide che la mano sinistra della Beata espandeva Umor Sanguigno da bagnare in tre giorni un purificatoio, sotto la stessa mano, ed il fenomeno si notò al piede destro: l’Umore, dapprima sbiadito, divenne poi assai colorito.
Informate le autorità ecclesiastiche, queste costatarono il nuovo prodigio assieme al dottor Conforti e ne fu esteso il regolare processo.
Le reliquie del prodigioso Umore rapidamente si diffusero in tutto il mondo; le cercarono e le tennero a caro Sommi Pontefici e personaggi altissimi: dovunque apportarono consolazioni e salutari ammaestramenti.
Fra i Sommi Pontefici piace ricordare Benedetto XV, che nel settembre del 1919 gradì e ammirò molto un artistico quadretto racchiudente una pezza intrisa di Umor Sanguigno e volle concorrere ai restauri della chiesa con una generosa offerta.
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Ci piace concludere questo capitolo dell’Umor Sanguigno con la risposta in data 13-9-1972 dell’ISTITUTO DI MEDICINA LEGALE dell’Università degli Studi di Camerino che, a seguito di indagini ematologiche su cinque diversi reperti di detto Umore così riferisce: «Le macchie presenti in tutti i cinque reperti sono CERTAMENTE COSTITUITE DA SANGUE, piuttosto invecchiato».
MATTIA: LA BUONA SAMARITANA
Lungo il corso dei secoli Mattia ha avuto da Dio il delicato compito, come il buon samaritano, di accostare gli infermi e curarne le piaghe.
Sarebbe bello ed anche doveroso riportarli tutti, ma dobbiamo accontentarci di presentarne solo alcuni.
Dopo la morte il primo prodigio già narrato.
“Nel mese di luglio del 1397 mastro Onofrio di S. Biagio da Perugia, caldaraio, abitante in Matelica, fu pubblicamente infamato d’aver condotto in Matelica la moneta falsa, d’averla quivi spesa e d’averla data a due matelicesi, che poi si recarono a Gualdo. 

Ora uno di questi, avendola davvero smerciata, fu bruciato vivo; mentre l’altro fu liberato con le preci rivolte al Signore, per intercessione della Beata Mattia, poiché non era in colpa. 
Il mastro Onofrio fu rinchiuso in oscura prigione. 
Pregò la Beata con impegno di convertirsi. Intanto si preparava per decapitarlo.
Come Dio volle tutti cominciarono a trattare e ad indugiare la sua morte, anzi andarono nella prigione, dicendogli che non doveva patire quella morte, e lo cavarono fuori di prigione. Mastro Onofrio, fuori di prigione, volle adempiere il voto fatto.” (*Questo fatto è stato stralciato dall’opera, tradotta dalla lingua latina in volgare dal P. Tommaso, da Tullio Speranza, Lettore in Sacra Teologia nel 1576, manoscritto presso il monastero.)


( altri miracoli , antichi e moderni, avvenuti per l'intercessione della Beata Mattia possono essere letti QUI )
IL COLERA DEL 1855
Ecco la sintesi da un Libro di Memorie del Monastero della Beata Mattia.
Nell’anno 1855 anche la nostra Città di Matelica fu colpita dal terribile flagello del colera. 
Essendosi nel luglio dello stesso anno manifestatosi il micidiale morbo, don Ugo Franceschini, monaco Silvestrino e parroco di S. Antonio Abate (Santa Teresa), insieme al canonico don Vincenzo dei Conti Tesei, chiese alla Madre Abbadessa, suor Francesca Saveria Possenti, un triduo di preghiere, per implorare speciale soccorso dalla nostra Beata Mattia. 
La chiesa della Beata si affollò di popolo: con vivissimi sentimenti di fede furono accompagnate le preghiere e, quando fu scoperto il Corpo, si sentì emanare da esso e diffondersi un soavissimo odore. 
Il terzo giorno, di domenica, fra il suono a festa delle campane di tutte le chiese e del Comune, nel Suo altare, senza interruzione, si celebrarono sante Messe.
Frattanto P. Franceschini, avendo invitati ad una Comunione generale i suoi parrocchiani, ne ascoltava la confessione, li comunicava e infervorava con commoventi discorsi e, in numero di quattrocento (tra i quali in maggior parte capi di famiglia), li accompagnava alla chiesa della Beata.
Nelle ore pomeridiane le Confraternite di S. Giovanni Decollato, di S. Croce, di S. Angelo e del SS.mo Rosario si portarono a visitare le Sacre Spoglie della Beata e lasciarono nel suo altare offerte in cera.
I Padri Silvestrini, Agostiniani, Osservanti e Cappuccini vi si recarono con il Capitolo, il clero e la numerosissima Confraternita del SS.mo Sacramento.
Il parroco Franceschini leggeva su pergamena solenne promessa che, ottenuta la grazia implorata, se ne sarebbe fatto ringraziamento solenne. Anche le religiose Benedettine mandarono ad attestare la loro devozione.
Nella seguente domenica la Confraternita della SS.ma Trinità, la Confraternita del Carmine, le Confraternite delle Ville Colferraio, Piane e Rastia e Cerreto, vennero anch’esse a raccomandarsi alla sua efficacissima protezione.
I buoni matelicesi per lungo tempo, sia la mattina che la sera, rimanendo esposte le Sacre Spoglie fino a tarda notte, non mancavano di frequentare la chiesa della loro Beata.
Le molte e fervorose preghiere furono coronate di successo e se ne volle perpetua memoria in un quadro, eseguito dal professore Crescentino Grifoni, di Urbino, che raffigura la Beata Mattia matelicese implorante i celesti favori sulla Sua Patria diletta.
Il popolo di Matelica, insieme con i parroci, decise di festeggiare devozionalmente la nascita ed il battesimo della Beata, a seguito del pubblico “voto” espresso durante il colera del 1855.
LA RICOGNIZIONE DEL 1973
Chi si appresti a visitare la Beata Mattia, subito avverte che il Suo corpo appare ricoperto di una doccia di plastica; l’urna di cristallo in cornice d’argento è sorretta da quattro colonnine d’oro a spirale, che poggiano su piedini pure in oro cesellati a mano.
Quando il 22 novembre 1972, alla presenza di tutto il Tribunale Ecclesiastico, canonicamente costituito da S. E. mons. Vescovo Macario Tinti, l’esperto P. Ricciardi esaminò i resti mortali della Beata e rilevò l’urgenza di un trattamento speciale, si pervenne alla decisione di fare tutto il necessario.
Dal 10 marzo al 1 giugno 1973 il P. Antonio Ricciardi ha atteso al lavoro di ricomposizione dei resti mortali della Beata, coadiuvato dalla ditta Franco Scarmigliati di Roma.
Il P. Ricciardi dichiara: «È stato un lavoro molto delicato perché abbiamo dovuto adattare la plastica (che protegge oggi dall’aria le Spoglie della Beata Mattia) alla forma presa dalle braccia come le abbiamo trovate».
Una pergamena, messa in un tubo di plastica assieme ad un’altra con i nominativi di centoquarantuno offerenti, che hanno concorso con le loro offerte alla realizzazione dell’opera, è collocata sotto il braccio sinistro della Beata.
Nel testo della pergamena tra l’altro si legge: «Il giorno 28 giugno MCMLXXIII il Corpo ricomposto della Beata fu deposto in questa urna nuova, opera della ditta Delio Franceschetti di Macerata. Giace il Corpo sopra un materassino ricamato in oro dalle Monache del Monastero; il viso racchiuso in teca, modellata su antica maschera della Beata, poggia sul cuscino leggermente rivolto verso i fedeli; le braccia sono distese sul materassino; tutto il corpo è rivestito dell’abito religioso, cinto dal cingolo francescano; sul petto un antico crocifisso in argento».
Il 2 luglio 1973 fu definitivamente collocata al Suo posto: alla base dell’altare Maggiore, da dove ogni giorno la Beata accoglie le preghiere dei Suoi devoti per presentarle al Padre Celeste.

PREGHIERA ALLA BEATA MATTIA
Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo
1 – La Tua vita, Beata Mattia, per l’esercizio costante delle eroiche virtù, fu un’immagine di quella dello Sposo Celeste, Cui Ti consacrasti fin dai teneri anni nell’Ordine di S. Francesco d’Assisi. 
O nostra amorosa protettrice, ottienici di vivere secondo lo spirito delle virtù cristiane affinché, imitandoTi sulla terra, meritiamo di godere con Te nel cielo.
Padre, Ave, Gloria
2 – La Tua morte, o Beata Mattia, fu accesa dall’Amore Divino, che in Te ardeva e che, consumando la Tua vita mortale in perfetto olocausto di carità, Ti donò la vita beata in seno a Dio. O nostra amorosa protettrice, impetraci da Dio una scintilla di questo sacro fuoco affinché noi pure, con l’amore di Dio e del prossimo, abbiamo la grazia di morire della morte dei giusti.
Padre, Ave, Gloria
3 – La Tua Spoglia mortale, o gloriosa Beata Mattia, glorificata da Dio subito dopo la Tua preziosa morte con luminosi prodigi, tramanda una fragranza di Paradiso e questo prodigioso Umore Sanguigno soccorre l’inferma umanità. O nostra amorosa protettrice, fa’ che noi pure sperimentiamo i graziosi effetti della Tua intercessione impetrandoci da Dio quelle grazie, che domandiamo, se sono conformi, alla Sua divina volontà.
Padre, Ave, Gloria
Antifona: Vieni, Sposa di Cristo, ricevi la corona che Dio Ti ha preparato per l’eternità.
V) Prega per noi Beata Mattia.
R) Perché siamo fatti degni delle promesse di Cristo.
PREGHIAMO
Signore Gesù Cristo, che con ricchi doni attirasti a Te la Tua vergine Beata Mattia per servirTi in purezza e semplicità di vita, Ti preghiamo di concederci per la Sua intercessione di ugualmente servirTi per conseguire l’eterna corona di gloria. 

Tu che vivi e regni nei secoli. 
Amen

Testi tratti dal libro “BEATA MATTIA NAZZAREI” Comunità Clarisse della Beata Mattia - 62024 MATELICA (MC) Tel. 0737.84463 
Collaborazione redazionale: Fiorella Conti, Carlo Tomassini
a cura di GIORGIO NICOLINI

 
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