martedì 24 settembre 2013

Mauriac e gli idioti ( e la « reprimenda » contro Mons.Domenico Celada - 1969 )

Da “ Il Tempo di Roma” del 20 febbraio 1969 ( sembra di ieri ) postiamo l' articolo del M° Mons. Domenico Celada ( * ) che purtroppo dopo 44 anni conserva ancora la sua attualità.


Mauriac e gli idioti 

Ricordo di aver scritto, nel numero dell’aprile-giugno 1966 di una rivista musicale, una nota sulla liturgia dopo il Concilio Vaticano II. 
Erano quelli i mesi nei quali andava delineandosi, in tutta la sua tragica portata, il piano demolitore di certi « liturgisti », giunti a proporre quelle cosiddette « messe dei giovani » (accompagnate da orchestrine da balera) che rappresentano — pur prescindendo da qualsiasi considerazione di carattere religioso — il trionfo dell'ignoranza e della stupidità. 
Scrivevo allora: « La sacra liturgia attraversa un periodo di grande crisi, forse il più doloroso della sua storia. Mai si vide tanta decadenza e confusione: si stava veramente toccando il fondo... ».
In tale occasione mi pervennero messaggi di consenso e di lode, lo posso ben dire, da ogni parte del mondo cattolico: erano lettere di semplici fedeli, di molti sacerdoti e parroci, perfino di vescovi e cardinali. 
Tuttavia, per essere sincero, debbo dire che mi giunse anche una forte « reprimenda » da parte di quell'ufficio ecclesiastico incaricato della cosiddetta riforma liturgica, ufficio noto col nome di « Consilium », sul quale esiste ormai una vastisima letteratura non certo benevola. 
L'estensore della « reprimenda » (redatta su carta intestata, con tanto di stemma e numero di protocollo) cominciava col mostrarsi scandalizzatissimo per la mia diagnosi di « crisi » della liturgia, e replicava che, viceversa, « la liturgia attraversa oggi uno dei periodi più fiorenti e più promettenti »; dopodiché sentenziava che i miei rilievi erano di una « falsità supina », e che tutto lo scritto rappresentava una « insinuazione offensiva » e una « valutazione soggettiva ed errata ». 
La mia era, per giunta, una « prosa sconcertante, sfrontata, offensiva e audace ».
Emersi a stento, anche se del tutto incolume, da quella frana di aggettivi, raggruppati a quaterne, sotto la quale sarei potuto rimanere soffocato. 
Da allora non sono trascorsi neppure tre anni. 
Una ventina di giorni fa, apro l'Osservatore romano e trovo un articolo di sette colonne (un'intera pagina del quotidiano della Santa Sede) intitolata Storia della Chiesa e crisi della Chiesa. 

In esso l'insigne storiografo Hubert Jedin scrive testualmente: « C'è innanzitutto, visibile per tutti, la crisi liturgica.  Io non vorrei parlare di caos. 
Ma quando oggi, di domenica mattina, si fa il giro delle chiese parrocchiali di una città, si trova in ciascuna un servizio divino "organizzato" differentemente; ci si imbatte in omissioni; si odono talvolta letture diverse da quelle previste finora dall'ordinamento delle pericopi; se poi ci si viene a trovare in un altro Paese di cui non si conosce la lingua, ci si sente affatto estranei... ».

Mi sembra importante notare come Hubert Jedin, nella sua chiara diagnosi dell'attuale situazione della Chiesa, menzioni « innanzitutto » — ancor prima della crisi della fede — appunto la crisi liturgica, ormai «visibile per tutti». 
Considerata l'autorità dello scrittore e quella del giornale vaticano, che non ospita mai un articolo se non dopo il più rigoroso controllo, bisogna concludere che oggi la crisi della liturgia è un dato di fatto incontestabile, e che è lecito parlarne e scriverne senza il timore di vedersi recapitare missive piene di aggettivi poco lusinghieri. 
D'altra parte, in tre anni sono successe molte cose: la Congregazione dei Riti è stata costretta a intervenire contro i molti esperimenti arbitrari con una « dichiarazione » del 29 dicembre 1966 (rimasta peraltro lettera morta) ( * vedi nota in basso ), e lo stesso Pontefice, nella famosa allocuzione del 19 aprile 1967, ha espresso il suo dolore e la sua apprensione per quanto accade in campo liturgico, sottolineando il « turbamento dei buoni fedeli » e denunciando una certa mentalità tesa alla « demolizione dell'autentico culto cattolico », implicante altresì « sovvertimenti dottrinali e disciplinari ».

Ma interessante è soprattutto il paragone che lo studioso stabilisce fra la crisi attraversata dalla Chiesa nel XVI secolo e quella del tempo presente. 
Come superò tale crisi la Chiesa? 
Risponde Jedin: «Non rinunciando alla sua autorità, né accettando formule equivoche di compromesso, né accogliendo il caos liturgico creato da innovazioni arbitrarie nel servizio divino ». 
E' verissimo. 
Se i decreti tridentini ristabilirono la sicurezza della fede, il messale e il breviario di San Pio V unificarono ancor più la liturgia. 
Non bisogna infatti dimenticare che la « lex orandi », secondo l'antico detto, è anche «lex credendi»: la legge della fede. (Appare quindi logico che all'odierna « licentia orandi » corrisponda una « licentia credendi »).

Scrive ancora Hubert Jedin: « Temo che fra non molto in qualche luogo non si troverà più addirittura un messale latino... ». 
Eppure — ricorda lo studioso — « la stessa Costituzione liturgica (art. 36) mantiene come regola, alla stessa guisa di prima, la liturgia latina. 
Non sarebbe un non senso che la Chiesa cattolica nel nostro secolo, nel secolo dell'unificazione del mondo, rinunciasse completamente ad un così prezioso vincolo di unità, come è la lingua liturgica latina? 
Non sarebbe uno scivolare molto tardivo in un nazionalismo già ritenuto sorpassato?... ». 

Si tratta di domande puramente retoriche, in quanto l'inspiegabile rinuncia è già praticamente avvenuta « in fraudem legis »: contro l'obbligatorietà di una legge conciliare che chiaramente prescrive di conservare l'uso del latino, e contro il diritto dei fedeli cattolici al godimento di un bene comune. 
Ora, spezzata l'unità della lingua e distrutta l'identità dei riti, il caos si è esteso dal campo liturgico a quello dottrinale.
Già nell'aprile 1967, Paolo VI cominciava a lamentare « qualche cosa di molto strano e doloroso », e precisamente l'« alterazione del senso della fede unica e genuina ».
Era la conseguenza — di una logica perfetta e inesorabile — della manomissione del grandioso edificio della Liturgia, ossia dell'aver tradotto, mutilato e sostituito testi e formule che rappresentavano una « summa » di pietà e di dottrina.
Si comprende oggi più che mai la verità dell'insegnamento di Pio XII nell'enciclica « Mediator Dei »: « L'uso della lingua latina è un chiaro e nobile segno di unità, e un efficace antidoto ad ogni corruttela della pura dottrina ».
La crisi della liturgia è ormai « visibile per tutti ». 
Molti inganni sono stati scoperti.
Nonostante ciò, gli innovatori continuano a lavorare, con l'affanno proprio di chi non è sicuro di se stesso, per manomettere, stravolgere e demolire quel poco che resta. (E' recente un convegno di liturgisti per dissertare intorno a « nuove preci eucaristiche » e ad un nuovo « ordo Missae »...). 

A proposito di questi ostinati riformatori che vanno sconciando la liturgia il celebre romanziere cattolico Francois Mauriac ha scritto, or non è molto: « Mi chiedo, in preda a un panico improvviso: e se tutti questi brillanti innovatori non fossero che un branco di atroci imbecilli? Allora non ci sarebbe più scampo: poiché s'è avverato che i sordi riacquistino l'udito, che i ciechi vedano daccapo, è perfino accaduto che i morti risuscitino; ma non c'è nessuna prova, nessun documento, su un idiota che abbia cessato di esserlo ».
Mi pare che l'accademico di Francia sia un po' troppo pessimista. Sembra aver dimenticato che qualsiasi idiota, anche se non può cessare di esser tale, può semplicemente essere messo in condizione di non nuocere.

Domenico Celada

Mons. Domenico Celada, nell’immediato post-Concilio fu uno “ veri fari illuminanti su ciò che stava per accadere nella Chiesa: argomentazioni iperacute sostenute da una eccezionale sapienza teologica. 
Questi scritti, che andrebbero ripubblicati come prezioso contributo alla veri¬tà storica, ancor oggi vivissimi dopo tanti anni, apparvero sul quotidiano II Tempo, allora diretto da Renato Angiolillo che li pubblicò coraggiosamente, sfidando l’avversione della Curia, la quale si sfogò, togliendo ogni incarico al sacerdote-scrittore (insegnava musica e storia del gregoriano all'Università lateranense), riducendolo alla più nera indigenza, avendo i genitori a carico. 
Si ridusse a vivere con la madre in una casetta di Ostia.
Dopo poco più dì un anno, si ammalò e morì giovane tra il compianto di tutti quelli che lo avevano conosciuto e, negli ultimi tempi, aiutato”. 

( Carlo Belli : Altare Deserto – Breve storia di un grande sfacelo- Giovanni Volpe Editore- Roma 1983 )

( * ) NOTA :
SACRA CONGREGATIO RITUUM

DICHIARAZIONE PER L'APPLICAZIONE DELLA COSTITUZIONE SULLA SACRA LITURGIA

Da qualche tempo taluni quotidiani e rotocalchi offrono ai loro lettori notizie e riproduzioni fotografiche su cerimonie liturgiche, soprattutto celebrazioni eucaristiche, aliene dal culto cattolico, quasi inverosimili come «cene eucaristiche familiari» celebrate in case private seguite da pranzi, Messe con riti, vesti e formulari insoliti ed arbitrari, e talora accompagnate da musiche di carattere del tutto profano e mondano, non degno d’un’azione sacra. Tutte queste manifestazioni cultuali, dovute ad iniziative private, tendono fatalmente a dissacrare la liturgia, che è l’espressione più pura del culto reso a Dio dalla Chiesa.
È assolutamente fuori luogo allegare il motivo dell'aggiornamento pastorale, il quale, giova ripeterlo, si svolge nell’ordine, non nell’arbitrio. Tutto ciò non è conforme alla lettera e allo spirito della Costituzione liturgica emanata dal Concilio Vaticano II, è contrario al senso ecclesiale della liturgia e nuoce all'unità e alla dignità del Popolo di Dio. «La varietà delle lingue - ha detto il 13 ottobre u.s. il Santo Padre Paolo VI - e la novità dei riti, che il movimento rinnovatore introduce nella Liturgia, non devono ammettere nulla che non sia debitamente riconosciuto dall’autorità responsabile dei Vescovi e di questa Sede Apostolica, nulla che non sia degno del culto divino, nulla che sia manifestamente profano e inetto ad esprimere l’interiorità e la sacralità della preghiera, e nulla anche di così singolare ed insolito, che invece di favorire la devozione della comunità orante, la stupisca e la disturbi, e le impedisca la effusione di una sua ragionevole e legittima tradizionale religiosità».
Mentre si deplorano i fatti sopra ricordati e la pubblicità che ad essi viene data, rivolgiamo pressante invito agli Ordinari sia locali che religiosi, perché vigilino sulla retta applicazione della Costituzione liturgica, richiamino con bontà e fermezza i promotori, anche se bene intenzionati, di tali manifestazioni e, all’occorrenza, reprimano gli abusi, impedendo ogni iniziativa che non sia autorizzata e guidata dalla sacra Gerarchia, promuovano con premura il vero rinnovamento liturgico voluto dal Concilio, affinché l’opera grandiosa di tale rinnovamento possa attuarsi senza deviazioni e possa portare quei frutti di vita cristiana, che la Chiesa da essa si attende.
Ricordiamo, inoltre, che non è lecito celebrare la Messa nelle case private, salvo i casi previsti e ben definiti dalla legislazione liturgica.
Roma, 29 Dicembre 1966.

GIACOMO Card. LERCARO Presidente del «Consilium» per l’applicazione della Costituzione sulla Sacra Liturgia
ARCADIO M. Card. LARRAONA Prefetto
FERDINANDO ANTONELLI Arcivescovo tit. di Idicra, Segretario.


( Il bubbone era già scoppiato ... )