mercoledì 29 febbraio 2012

NO TAV : EHI PECORELLA, VUOI SPARARE? . IL CARABINIERE CHE È STATO INSULTATO DAL NO TAV ( VIDEO ) HA RICEVUTO L’ENCOMIO SOLENNE DAL COMANDANTE GENERALE DELL’ARMA, LEONARDO GALLITELLI, SECONDO CUI “LA FERMEZZA E LA COMPOSTEZZA PROFESSIONALE DIMOSTRATE HANNO IMPEDITO A UNA SITUAZIONE DELICATA DI DEGENERARE IN ULTERIORI INCIDENTI”.







Oh mia patria sì bella e perduta!

Dopo aver visto dai TG questo filmato sento di dovere di postarlo su questo  blog cattolico  per esprimere la mia solidarietà al Carabiniere, vero monumento di  compostezza e “sangue freddo”.
Noi avevamo anticipato solo di poco che il giovane Carabiniere era meritevole di encomio !
Al contrario all'infame provocatore-professionista taggato NO-TAV che, sotto l’effetto dell’odio, eccitato dalla presenza della telecamera ha fatto quello squallido “show” mi auguro che venga presto riservato un posto nelle patrie galere!
Nonostante i frequenti appelli alla legalità e all'etica civica da parte del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio dei Ministri, nel nostro Paese si aggirano arrogantemente gli " impuniti "  che , ripresi dalle TV, dopo aver messo a ferro e fuoco una ridente e pacifica vallata bloccando per giorni e giorni le Autostrade, si permettono di insultare le Forze dell’Ordine .
Un tempo per reati come questi si veniva condannati e gettati in prigione.
Ora questi individui pretendono la "diretta tv " ... 
Nel vedere il raccapricciante filmato ho avuto doppio brivido : per un attimo mi è sembrato di aver visto quel giovane barbuto, cattolico adulto, con la " chitarra in mano"  "animare" le liturgie nelle nostre chiese e partecipare alle "assemblee" ecclesiali ...
Per fortuna il mio è stato solo un errore visivo !
Che il Signore protegga la nostra amata Nazione Italiana ridotta in questo modo !
Andrea Carradori

AGGIORNAMENTO :  Il militare ripreso dal video di Corriere.it mentre veniva provocato dal militante NO TAV (“Ehi pecorella, vuoi sparare?”) ha ricevuto l’encomio solenne dal comandante generale dell’Arma, Leonardo Gallitelli, secondo cui “la fermezza e la compostezza professionale dimostrate hanno impedito a una situazione delicata di degenerare in ulteriori incidenti”.

lunedì 27 febbraio 2012

La Confraternita del Santissimo Sacramento di Moie







Moie, Comune di Maiolati-Spontini, Diocesi di Jesi, Provincia di Ancona, vanta numerosi,  monumenti fra i quali la celebre Abbazia.
La Confraternita del Santissimo Sacramento è una associazione ecclesiale che cerca di promuovere il culto verso l’Eucarestia e la Vergine Maria, di collaborare per organizzare le manifestazioni religiose pubbliche. Altro scopo della Confraternita è promuovere ed esercitare le opere di carità umana e cristiana che sono suggerite dalle circostanze.
La Confraternita del Santissimo Sacramento di Moie è stata ufficialmente ricostituita l’8 settembre 2008, nel giorno della festa patronale dedicata a Maria Santissima, Madre di Misericordia, nel giorno della sua Natività. Nel corso della Messa presieduta dal vescovo diocesano Mons. Gerardo Rocconi i Confratelli hanno ricevuto la solenne benedizione ed hanno indossato l’abito caratteristico costituito dalla tunica bianca, dal mantello azzurro e dalla medaglia distintiva. I confratelli si erano preparati a vivere questo momento con un incontro in parrocchia guidato da Alberto Fiorani, presidente del Coordinamento regionale delle Confraternite.
La Confraternita era stata attiva a Moie fino agli anni Sessanta; sono stati ritrovati i quaderni delle entrate e delle uscite dei primi anni del 1900 che dimostrano una grande vitalità del sodalizio. Purtroppo aveva cessato di essere attiva da oltre quarant’anni ma alcune persone ne avevano avvisato la mancanza. Ora, dal momento che per le Confraternite, in Italia, si può parlare di una rinascita, anche a Moie si erano presentate le condizioni favorevoli per ridare vita a questa associazione religiosa. Il parroco don Gianni Giuliani aveva espresso il desiderio della ricostituzione della Confraternita, lo stesso che avevano alcuni uomini della cittadina. 
E così, dopo un periodo di preparazione, è stato preparato lo statuto, consegnato all’Ordinario diocesano, sono stati fatti incontri di preparazione, confezionati gli abiti e preparata la celebrazione per l’investitura.
Gli scopi principali della Confraternita sono promuovere il culto verso l’Eucarestia e la Vergine Maria, organizzare le manifestazioni religiose pubbliche in collaborazione con il consiglio pastorale parrocchiale, promuovere ed esercitare le opere di carità umana e cristiana che sono suggerite dalle circostanze.
Attualmente sono 18 i confratelli oltre ad un gruppo di collaboratori esterni. La sede è nei locali al piano primo dell’Abbazia Santa Maria.
Attuale priore è Gianni Cantarini; assistente ecclesiastico è il parroco don Fabio Belelli; vice-priore Modesto Ceriachi; segretario Possanzini Lamberto; cassiere Marco Lorenzetti.
Di seguito alcune delle celebrazioni e incontri ai quali la Confraternita ha preso parte oppure ha organizzato:
- 8 settembre 2008: al mattino benedizione e investitura; al pomeriggio solenne processione per le vie della cittadina nel giorno della festa patronale
- 15 marzo 2009: partecipazione alla Quarta Giornata del Pellegrino nelle Marche, una iniziativa promossa a Loreto dall’Opera Romana Pellegrinaggi.
- 8 settembre 2009: solenne processione per le vie della cittadina nel giorno della festa patronale
- 13 settembre 2009: partecipazione al raduno regionale delle confraternite a Fabriano
- 11-18 aprile 2010: partecipazione agli incontri spirituali della Peregrinatio Mariae della statua della Madonna di Loreto nella parrocchia di Moie.
25 giugno 2010: organizzazione della conferenza sul beato Piergiorgio Frassati nei locali della chiesa Cristo Redentore
5 settembre 2010: benedizione del nuovo stendardo processionale della Confraternita ricamato a mano dalla maestra artigiana Marisella Zenobi
8 settembre 2010: solenne processione per le vie della cittadina per la festa patronale
12 settembre 2010: partecipazione al raduno regionale delle Confraternite a Macerata
_ 27 maggio 2011 : organizzazione della conferenza “ L’Eucarestia per l’uomo - l’uomo per L’Eucarestia” presso i locali della chiesa Cristo Redentore
_ 19 giugno 2011: partecipazione al raduno regionale delle Confraternite a Mogliano
_ 8 settembre 2011: solenne processione per le vie della cittadina nel giorno della festa patronale

Per informazioni: Priore Gianni Cantarini, telefono 0731 703399



Testo: Beatrice Testadiferro

DECADENZA DELL'EUROPA


Era pressochè inevitabile che si arrivasse ad una crisi finale della nostra Europa date le tante premesse negative (Illuminismo, nazionalismi, ideologie atee e pagane e nichilismi vari).
La crisi dell'euro non è che il suo ultimo esito.
A monte in realtà c’è una crisi morale e spirituale di tutto il continente.
Direi che, nonostante le apparenze, la crisi ha preso le mosse (ed è più grave anche se all'apparenza non sembra perchè economicamente più ricche e stabili) nelle nazioni più sviluppate, quelle nord-europee, quelle a maggioranza protestante che per prime son diventate relativiste, secolariste.
Avendo il protestantesimo esaurito da tempo il suo movimento propulsore, trasformando il cristianesimo in umanitarismo, col tempo si è uniformato allo Stato che lo inglobava a differenza del cattolicesimo che ha un suo Stato proprio e può esercitare una politica e una dottrina non influenzabile da quella italiana.
Questa protestante è stata l'Europa mitizzata sin dai tempi di Cavour e da lui stesso appoggiata fermamente, (era convinto che dopo l'unità della nazione il Papa sarebbe scomparso magari tornando ad Avignone) a cui ci saremmo dovuti volgere per uscire dalle tenebre (del cattolicesimo) verso un domani ben più luminoso.
Alla radice di questa convinzione c’è l’idea ricorrente secondo cui l’Italia non è un “paese normale” per due motivi: perché non avendo accolto la Riforma protestante si è perciò stesso preclusa alla modernità; e perché la presenza della Santa Sede a Roma costituisce un’enorme palla al piede a causa della quale nemmeno oggi il nostro Paese riesce a recuperare il tempo sin qui perduto.
I danni causati da questa ideologia sono notevolissimi.
Basti citare un caso, quello di Prodi, che ne è imbevuto.
L’ingresso in ginocchio dell’Italia nell’euro con un tasso di cambio molto sfavorevole, e a condizioni che ci sono costate la perdita di circa metà del nostro potere d’acquisto in dieci anni, nasce da qui.
E’ un’ideologia nefasta che, magari anche inconsapevolmente, riappare ogni volta che un ministro ci viene a dire che una certa cosa si deve fare perché “ce lo chiede l’Europa”, oppure che se non la si fa si corre il rischio di “uscire dall’Europa”.
Il primo argomento è una furbizia, ma il secondo è sintomo di un complesso d’inferiorità patetico.
Senza l’Italia l’Europa non ci sarebbe nemmeno; non solo perché è uno dei Paesi fondatori delle istituzioni europee, ma soprattutto perché ne è la culla culturale e storica.
Se di ciò il nostro ceto politico fosse più consapevole la nostra politica europea sarebbe molto più forte e più influente con vantaggio sia nostro che dell’intera Unione.
Se poi, a livello economico-sociale, forse non siamo all'altezza delle più sviluppate nazioni nord-europee (anche a causa della palla al piede del sud Italia che però ha una sua grande giustificazione essendo stato depauperato a favore del nord dallo Stato unitario savoiardo), certo ancora non siamo caduti mani e piedi nel secolarismo ateo e nel relativismo culturale del nord Europa dal momento che la legge 40 non permette in Italia di applicare leggi eugenetiche, procreative, matrimoni omo con adozione ecc. ecc.
Se ai cosiddetti progressisti queste norme appaiono retrograde, medievali, non all'altezza della "modernità" europea, per noi cattolici dovrebbe essere invece un vanto avere un Italia che va in controtendenza rispetto all'Europa (rappresentando di fatto un polo di attrazione per altre nazioni) rivendicando il rispetto della vita e della famiglia.
E pensare che i padri fondatori dell'Europa, come Monnet e Adenauer, erano ferventi cattolici, per non parlare dei Servi di Dio Schuman e De Gasperi.
E non dimentichiamoci che la bandiera stessa dell'Europa è formata da 12 stelle sopra un manto azzurro: forse questo non ci ricorda nulla?
Siamo passati da un'Europa cattolica dei primordi a quella massonica e anticristiana di oggi.
Il fatto stesso che ci si sia rifiutati di inserire nel preambolo della costituzione europea il riferimento alle radici giudaico-cristiane, ha rappresentato l'inizio della fine di questa nobile istituzione, rimasta ormai senz'anima e senza futuro.
Infatti c'è una strana mancanza di voglia per il futuro. I figli, che sono il futuro, vengono visti come una minaccia per il presente: ci portano via qualcosa della nostra vita, non vengono sentiti come una speranza, cosi si pensa, per cui qui si impone un confronto con l'Impero Romano al tramonto: funzionava come cornice storica, in realtà viveva di quelli che dovevano dissolverlo, poichè non aveva più in serbo alcuna energia vitale.
E' quanto sta succedendo in questi anni agli Europei dopo le follie ideologiche e le guerre del secolo scorso. Alcuni grandi pensatori avevano intravisto questo declino.
Come ci insegna Hegel, chi non sa combattere e rischiare diventerà un servo.
Quello che avviene per gli individui avviene anche ai popoli; ci sono popoli in espansione, creativi, fieri, orgogliosi della propria cultura, della propria religione, della propria identità e che sono pronti a battersi, a morire per conservarle.
E nel contempo ci sono popoli senza più slancio, orgoglio e dignità, divisi e litigiosi, incapaci di combattere e si inchinano per conservare la vita e il benessere. (dhimmitudine)
Perchè tutto questo ?
Perchè a questa Europa non importandole più niente del suo passato è segno che ha perso fiducia nel futuro. Magari fa tutto questo anche per non irritare i musulmani che ci stanno invadendo pacificamente, i quali però ricordano orgogliosamente le loro radici.
L'avanzata dell'Islam è sempre continuata dai tempi del profeta, in Europa addirittura nel 1683 arrivò sotto le mura di Vienna.
Oggi i Musulmani avanzano nelle Filippine, attaccano la Russia, invadono l'Europa con l'immigrazione e si stanno impadronendo di tutta l'Africa attraverso le conversioni o massacrando i cristiani come in Sudan e in Nigeria.
E che siano forti e decisi lo si vede dal coraggio che hanno di farsi esplodere.
Un atto che provoca orrore, ma che ci dovrebbe mettere in allarme specialmente noi Europei, che se non ritroveremo le nostre radici, radici cristiane, siamo destinati, quando questi musulmani saranno diventati preponderanti, a soccombere col risultato di trovarci in casa tra qualche generazione quella cultura islamica che, tradotta nella realtà, taglia le mani ai ladri, lapida i fedigrafi, schiavizza la donna ecc ecc.
Un salto all'indietro di ottocento anni, (i tempi di Averroè) !
Quello che è certo è che con il nichilismo oggi imperante in Europa non saremo in grado di opporci culturalmente all’Islam.
Oggi in Europa viene multato chi disonora la fede di Israele, viene multato anche chiunque vilipendia il Corano. Laddove però si tratta di Cristo e di ciò che è sacro ai cristiani, ecco allora che la libertà di opinione appare come il bene supremo (lo spettacolo blasfemo di Castellucci a Milano ne è un esempio), che limitare il quale sarebbe distruggere la tolleranza e la libertà in generale.
Esiste qui un "odio di sè" dell'Occidente che è strano e rasenta la patologia: l'Occidente è pieno di comprensione, di tolleranza verso tutte le religioni e tutte le culture, si apre a tutto e a tutti, ma non ama più se stesso, la propria cultura !!! Ed è qui che risiede il dramma dell'Europa: se vuole sopravvivere ha bisogno di una nuova accettazione di se stessa !
Ma l'Europa attualmente è lontana anni luce dall'accettare la propria cultura e tradizione.
Di fatto sta facendo il contrario !
Tempo fa è stato diffuso in milioni di copie e in migliaia di scuole, in tutta Europa e forse anche nei Paesi islamici, l'agenda ufficiale dell'Europa, firmata dalla Commissione europea.
Nel diario europeo sono presenti festività delle religioni minoritarie, ma non c'è alcun riferimento alle festività nostre, quelle cristiane.
Nel diario non si capisce perchè non ci siano le feste natalizie, quelle pasquali e tutto il resto, nulla che segni in rosso una festività cristiana.
Il tutto è stato fatto notare dall'allora ministro degli Esteri Frattini.
A questo proposito molti accusano l'Unione europea di negazionismo, dicono che questa vuota Europa è un'associazione vigliacca di smemorati banchieri fondata sul negazionismo.
Nel giro di poche ore ha infatti negato le festività cristiane e dunque la sua tradizione principale ancora viva da cui proviene e nel cui nome ha un calendario e un sistema di festività.
Ed ha pure negato ai Paesi dolorosamente usciti dal comunismo il diritto di considerare i loro milioni di vittime sullo stesso piano delle vittime del nazismo.
Per l'Unione europea il Natale non esiste, la Pasqua nemmeno, e se si uccidono i cristiani in Nigeria e nelle Filippine, chi se ne frega, la cosa non ci riguarda.
Perchè noi europei abbiamo compiti più importanti, infatti siamo dediti alla misurazione delle banane, l'arcuatura dei piselli, mica di religioni, superstizioni, stragi e amenità varie...
Noi siamo civili, lavoriamo in banca, mica pensiamo alle festività religiose...
Del suo passato l'UE resetta tutto, cancella millenni di civiltà cristiana, millenni di natali e pasque, orrori del comunismo cinque volte più grandi (a livello di vittime) di quelli del nazismo e si permette con grande protervia di fare la bellezza di trenta mozioni contro il Vaticano colpevole di non promuovere la cultura pederasta.
Insomma, l'Europa non è mai nata e ha paura pure della sua ombra.
L'Europa è un morto che cammina, per cui ci si dovrebbe chiedere a che pro fare tanti sacrifici, rientrare di un ventesimo del debito ogni anno, penalizzando non solo la crescita ed entrando in recessione, ma sacrificando anche quanto abbiamo di più caro: la nostra cultura, la nostra religione.
Penso, che continuando cosi, diverremo vassalli della Germania, e quando ci accorgeremo di tale fatto, non sarà più possibile tornare indietro, perché nel frattempo ci saremo dissanguati e quindi impoveriti per obbedire ai diktat dei poteri forti mondiali.
Tanto varrebbe darci un taglio subito, dichiarare fallimento, non pagando i debiti esteri e riprenderci il nostro futuro.
L’Argentina lo ha fatto, (ha mandato a quel paese la Banca Mondiale…) ha si sofferto per due-tre anni, ma oggi cresce a ritmi del 10/11% annui.
Altrimenti per noi, gli spagnoli, i portoghesi, gli irlandesi si paventa seriamente l’incubo greco che stiamo vivendo in questi giorni.
Certo però che per fare tutto questo, bisogna sbaraccare innanzitutto questo governo che non fa quello che dovrebbe fare per rilanciare l’economia (diminuzione della spesa pubblica, vendita del patrimonio statale stimato da uno studio recentissimo quasi uguale al nostro debito), ma cosa più importante emissario di quei poteri forti mondiali rappresentati dai banchieri che esigono fermamente il pagamento degli interessi e del capitale, se poi il paziente muore (come la Grecia) , questo a loro non interessa.
F.V.

sabato 25 febbraio 2012

MONS.ARRIGO MIGLIO NUOVO ARCIVESCOVO-METROPOLITA DI CAGLIARI











S. E. Mons. Arrigo Miglio è nato a San Giorgio Canavese, diocesi di Ivrea, il 18 luglio 1942; ordinato presbitero il 23 settembre 1967; eletto alla sede vescovile di Iglesias il 25 marzo 1992; ordinato vescovo il 25 aprile 1992; trasferito a Ivrea il 20 febbraio 1999.

Attualmente è Presidente della Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace; Segretario della Conferenza Episcopale Piemontese; Presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani.

Nel porgere al nuovo Arcivescovo il benvenuto a Cagliari, tutta la diocesi esprime a Lui le felicitazioni e gli auguri di buon servizio episcopale nella nostra terra e all'Arcivescovo Mons. Giuseppe Mani, che gli porgerà il Pastorale di Cagliari e che pure non da subito lascerà la nostra guida, anticipa i fervidi ringraziamenti per il suo tanto lavoro, di cui ancora godremo i frutti.


Carissimi fratelli e sorelle dell’Arcidiocesi di Cagliari,
Nel momento in cui viene pubblicata ufficialmente la notizia che il Santo Padre
Benedetto XVI mi ha nominato vostro arcivescovo desidero farvi giungere un primo
saluto affettuoso, con l’assicurazione della mia vicinanza nella preghiera per tutti
voi, che da qualche giorno siete entrati con particolare intensità nel mio cuore e nei
miei pensieri.
Ho accolto la chiamata del Santo Padre con grande emozione. I primi anni del mio
servizio episcopale si sono svolti nella vostra terra, nella carissima Diocesi di
Iglesias, e mi sento debitore per i tanti doni ricevuti dalla Chiesa sulcitana e da tutta
la Chiesa che è in Sardegna: doni di fede, di fraternità e di amicizia, di sensibilità
umana e di raffinata cultura. Non posso tuttavia nascondere la trepidazione che mi
accompagna in questo momento, per la missione impegnativa e vasta che il Santo
Padre mi affida, missione di fronte alla quale sento tutto il peso dei miei limiti e delle
mie povertà: le depongo con fiducia nelle mani del Signore, invocando la materna
intercessione di Maria, Nostra Signore di Bonaria, Patrona massima della Sardegna e
specialmente dell’Arcidiocesi cagliaritana.
In questi giorni ho sentito molto vicina la presenza di Maria, che ripete anche a me
le parole dette ai servi della festa di nozze a Cana di Galilea: “fate tutto quello che
Lui vi dirà”. Ho ricordato così le parole che Gesù rivolse una notte a Paolo: “non
temere, perché io sono con te ed ho un popolo numeroso in questa città” (At 18,10).
Negli anni del mio ministero sacerdotale ed episcopale ho toccato con mano tante
volte, proprio come avvenne per l’Apostolo Tommaso, la presenza viva e forte del
Signore Risorto, l’azione del suo Santo Spirito, la forza penetrante ed inarrestabile
della sua Parola, la ricchezza dei doni che lo Spirito continua ad effondere sulla
Chiesa. L’esperienza del ministero episcopale mi ha offerto molte occasioni in cui ho
potuto contemplare con gioia una Chiesa bella, unita a Cristo nella Passione, certo,
ma partecipe al tempo stesso della vita nuova del Risorto, una Chiesa che vive un
tempo di trasformazione e di profondo rinnovamento.
Siamo appena entrati nel cammino quaresimale, che ci condurrà a vivere con
maggiore intensità la nostra unione con Gesù Crocifisso e Risorto; con la liturgia
della prima domenica di Quaresima lo Spirito conduce anche noi nel deserto, dove
Gesù condivide con noi ogni genere di tentazione, sconfigge per noi il potere del
Maligno e annuncia che è giunto il tempo della nuova e definitiva alleanza che Dio
stabilisce con noi, come era stato annunciato fin dai tempi di Noè. Dio è nostro
alleato: “se Dio è per noi chi sarà contro di noi?” (Rm. 8, 31).
In questo particolare momento diventa fonte di speranza vera e affidabile sapere che
il Signore è alleato e solidale con noi, in primo luogo con tutti coloro che soffrono a
motivo della crisi che stiamo vivendo e che la Sardegna vive in modo speciale, crisi
di posti di lavoro, crisi di speranza e di fiducia, crisi di amore vero, mentre la povertà
pesa su tante, troppe famiglie. Tutte queste sofferenze il Signore non solo vede e
conosce ma le prende su di sé, le fa sue e chiede a noi sua Chiesa di essere solidali
con Lui e con tutti coloro che soffrono.
Fin da ora voglio dire tutto il mio impegno a camminare con il Signore sulla strada
della vera solidarietà. Proprio nel deserto Gesù ci ha ricordato che “non di solo pane
vive l’uomo”. La crisi di questi anni, ci ripete spesso Benedetto XVI, non è solo
economica ma, prima ancora, culturale e spirituale, perché nasce e si alimenta da una
mentalità che non accoglie il progetto di Dio, dove la persona umana è sempre al
primo posto e deve essere la prima risorsa di cui tenere conto. Questa è anche la
prima condizione fondamentale per una economia che voglia guardare lontano e
lavorare per uno sviluppo autentico e duraturo. Se ci lasciamo illuminare dal Vangelo
e dall’insegnamento che ci viene dalla dottrina sociale della Chiesa potremo fare di
questa crisi il punto di partenza per un rinnovamento profondo, per un nuovo
pensiero e per nuovi progetti, così come dice al n.21 l’enciclica Caritas in Veritate di
Benedetto XVI.
Carissimi fratelli e figli, ho vivo desiderio di venire da voi, di incontrarvi uno per
uno, di camminare con voi sulla strada entusiasmante della nuova evangelizzazione.
Siamo chiamati a testimoniare la vita buona e bella del Vangelo, ma anzitutto siamo
chiamati a lasciarci portare e trasformare dal Vangelo, Parola di vita che Gesù ci ha
donato perché la nostra gioia sia piena (cfr. Gv. 15, 11). Queste parole formano
anche il mio motto episcopale e soprattutto ci ricordano un obiettivo particolarmente
importante oggi per il cammino della nuova evangelizzazione: aiutare l’uomo a
riscoprire che la via del Vangelo è fonte di gioia e di vita vera.
Saluto con particolare affetto gli Ecc.mi Arcivescovi che mi hanno preceduto: Mons.
Ottorino Pietro Alberti, che mi ha imposto le mani nel giorno della mia consacrazione
episcopale, è stato mio metropolita e presidente della Conferenza episcopale sarda
negli anni del mio ministero ad Iglesias, ma soprattutto amico fraterno e discreto;
Mons. Giuseppe Mani, che conosco e stimo da tanti anni, di cui ho sempre ammirato
entusiasmo, coraggio, testimonianza apostolica e intraprendenza pastorale: da lui
ricevo la preziosa eredità della chiesa cagliaritana, che vorrò servire con tutto il cuore
e con tutte le mie forze. Un saluto fraterno rivolgo ai Vescovi della Sardegna, in
particolare ai Vescovi emeriti che risiedono a Cagliari. Saluto con affetto i sacerdoti,
i diaconi, i seminaristi, le religiose ed i religiosi, tutti i fedeli di ciascuna parrocchia,
con un “ciao” tutto speciale ai bambini, ai ragazzi e ai giovani. Un ricordo particolare
vorrei far giungere agli ammalati, affidandomi alla loro preghiera, particolarmente
preziosa perché unita alla Croce di Cristo.
Rivolgo un deferente saluto ed ossequio alle On. Autorità civili e militari,
assicurando fin da ora pieno rispetto e collaborazione, nella ricerca del bene comune
per la “nostra” cara terra di Sardegna.
Con l’intercessione di Nostra Signora di Bonaria e dei Santi Patroni della Chiesa
cagliaritana invoco su tutti e su ciascuno la benedizione del Signore.
Ivrea, 25 Febbraio 2012.
+Arrigo Miglio

venerdì 24 febbraio 2012

TOLENTINO, BASILICA DI SAN NICOLA VIA CRUCIS QUARESIMALE




Tutti i Venerdì di Quaresima alle ore 17,45 la navata centrale della Basilica di San Nicola a Tolentino si riempie di fedeli che prendono parte al  Pio esercizio della Via Crucis.
La Via Crucis termina nel Cappellone dove si canta  la  preghiera composta da Sant'Agostino : “Ante oculos tuos”.
Le preghiere per l’acquisto delle Sante indulgenze e la benedizione concludono il sacro rito che è molto sentito dai fedeli che si abbeverano quotidianamente alla spiritualità agostiniana e confidano nella protezione del Taumaturgo San Nicola.
Questo è il testo originale latino dell'Ante oculos tuos che i Frati Agostianiani han sempre cantato durante la Santa Quaresima.
Ante oculos tuos, Domine, culpas nostras ferimus; et plagas quas accepimus, conferimus.
Si pensamus malum quod fecimus, minus est quod patimur, majus est quod meremur.
Gravius est quod commisimus, levius est quod toleramus.
Peccati poenam sentimus, et peccandi pertinaciam non vitamus.
In flagellis tuis infirmitas nostra teritur, et iniquitas non mutatur.
Mens aegra torquetur, et cervix non flectitur.
Vita in dolore suspirat, et in opere non se emendat.
Si expectas, non corrigimur; si vindicas, non duramus.
Confitemur in correctione quod egimus; obliviscimur post visitationem quod flevimus.
Si extenderis manum, facienda promittimus; si suspenderis gladium, promissa non solvimus.
Si ferias, clamamus ut parras; si peperceris, iterum provocamus ut ferias.
Habes, Domine, confitentes reos; novimus quod nisi dimittas, recte nos perimus.
Praesta, Pater omnipotens, sine merito quod rogamus, qui fecisti ex nihilo qui te rogarent. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

PAPA BENEDETTO XVI : DISCORSO MONUMENTALE D'INIZIO QUARESIMA AI PARROCI DI ROMA







INCONTRO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
CON I PARROCI DI ROMA


Aula Paolo VI
Giovedì 23 febbraio 2012




Cari fratelli,

è per me una grande gioia vedere ogni anno, all’inizio della Quaresima, il mio clero, il clero di Roma, ed è bello per me vedere oggi come siamo numerosi. Io pensavo che in questa grande aula saremmo stati un gruppo quasi perso, ma vedo che siamo un forte esercito di Dio e possiamo con forza entrare in questo nostro tempo, nelle battaglie necessarie per promuovere, per far andare avanti il Regno di Dio. Siamo entrati ieri per la porta della Quaresima, rinnovamento annuale del nostro Battesimo; ripetiamo quasi il nostro catecumenato, andando di nuovo nella profondità del nostro essere battezzati, riprendendo, ritornando al nostro essere battezzati e così incorporati in Cristo. In questo modo, possiamo anche cercare di guidare le nostre comunità nuovamente in questa comunione intima con la morte e risurrezione di Cristo, divenire sempre più conformi a Cristo, divenire sempre più realmente cristiani.

Il brano della Lettera di san Paolo agli Efesini che abbiamo ascoltato (4,1-16) è uno dei grandi testi ecclesiali del Nuovo Testamento. Comincia con l’autopresentazione dell’autore: «Io Paolo, prigioniero a motivo del Signore» (v. 1). La parola greca desmios dice «incatenato»: Paolo, come un criminale, è in catene, incatenato per Cristo e così inizia nella comunione con la passione di Cristo. Questo è il primo elemento dell’autopresentazione: egli parla incatenato, parla nella comunione della passione di Cristo e così sta in comunione anche con la risurrezione di Cristo, con la sua nuova vita. Sempre noi, quando parliamo, dobbiamo parlare in comunione con la sua passione e anche accettare le nostre passioni, le nostre sofferenze e prove, in questo senso: sono proprio prove della presenza di Cristo, che Lui è con noi e che andiamo, in comunione alla sua passione, verso la novità della vita, verso la risurrezione. «Incatenato», quindi, è prima una parola della teologia della croce, della comunione necessaria di ogni evangelizzatore, di ogni Pastore con il Pastore supremo, che ci ha redenti «dandosi», soffrendo per noi. L’amore è sofferenza, è un darsi, è un perdersi, e proprio in questo modo è fecondo. Ma così, nell’elemento esteriore delle catene, della libertà non più presente, appare e traspare anche un altro aspetto: la vera catena che lega Paolo a Cristo è la catena dell’amore. «Incatenato per amore»: un amore che dà libertà, un amore che lo fa capace di rendere presente il Messaggio di Cristo e Cristo stesso. E questo dovrebbe essere, anche per noi tutti, l’ultima catena che ci libera, collegati con la catena dell’amore a Cristo. Così troviamo la libertà e la vera strada della vita, e possiamo, con l’amore di Cristo, guidare a questo amore, che è la gioia, la libertà, anche gli uomini affidatici.

E poi dice «Esorto» (Ef 4,1): è il suo compito quello di esortare, ma non è un ammonimento moralistico. Esorto dalla comunione con Cristo; è Cristo stesso, ultimamente, che esorta, che invita con l’amore di un padre e di una madre. «Comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto» (v. 1); cioè, primo elemento: abbiamo ricevuto una chiamata. Io non sono anonimo o senza senso nel mondo: c’è una chiamata, c’è una voce che mi ha chiamato, una voce che seguo. E la mia vita dovrebbe essere un entrare sempre più profondamente nel cammino della chiamata, seguire questa voce e così trovare la vera strada e guidare gli altri su questa strada.

Sono «chiamato con una chiamata». Direi che abbiamo la grande prima chiamata del Battesimo, di essere con Cristo; la seconda grande chiamata di essere Pastori al suo servizio, e dobbiamo essere sempre più in ascolto di questa chiamata, in modo da poter chiamare o meglio aiutare anche altri affinché sentano la voce del Signore che chiama. La grande sofferenza della Chiesa di oggi nell’Europa e nell’Occidente è la mancanza di vocazioni sacerdotali, ma il Signore chiama sempre, manca l’ascolto. Noi abbiamo ascoltato la sua voce e dobbiamo essere attenti alla voce del Signore anche per altri, aiutare perché ci sia ascolto, e così sia accettata la chiamata, si apra una strada della vocazione ad essere Pastori con Cristo. San Paolo ritorna su questa parola «chiamata» alla fine di questo primo capoverso, e parla di una vocazione, di una chiamata che è alla speranza - la chiamata stessa è una speranza – e così dimostra le dimensioni della chiamata: non è solo individuale, la chiamata è già un fenomeno dialogico, un fenomeno nel «noi»; nell’«io e tu» e nel «noi». «Chiamata alla speranza». Vediamo così le dimensioni della chiamata; esse sono tre. Chiamata, ultimamente, secondo questo testo, verso Dio. Dio è la fine; alla fine arriviamo semplicemente in Dio e tutto il cammino è un cammino verso Dio. Ma questo cammino verso Dio non è mai isolato, un cammino solo nell’«io», è un cammino verso il futuro, verso il rinnovamento del mondo, e un cammino nel «noi» dei chiamati che chiama altri, fa ascoltare loro questa chiamata. Perciò la chiamata è sempre anche una vocazione ecclesiale. Essere fedeli alla chiamata del Signore implica scoprire questo «noi» nel quale e per il quale siamo chiamati, come pure andare insieme e realizzare le virtù necessarie. La «chiamata» implica l’ecclesialità, implica quindi la dimensione verticale e orizzontale, che vanno inscindibilmente insieme, implica ecclesialità nel senso di lasciarci aiutare per il «noi» e di costruire questo «noi» della Chiesa. In tale senso, san Paolo illustra la chiamata con questa finalità: un Dio unico, solo, ma con questa direzione verso il futuro; la speranza è nel «noi» di quelli che hanno la speranza, che amano all’interno della speranza, con alcune virtù che sono proprio gli elementi dell’andare insieme.

La prima è: «con ogni umiltà» (Ef 4,2). Vorrei soffermarmi un po’ di più su questa perché è una virtù che nel catalogo delle virtù precristiane non appare; è una virtù nuova, la virtù della sequela di Cristo. Pensiamo alla Lettera ai Filippesi, al capitolo due: Cristo, essendo uguale a Dio, si è umiliato, accettando forma di servo e obbedendo fino alla croce (cfr Fil 2,6-8). Questo è il cammino dell’umiltà del Figlio che noi dobbiamo imitare. Seguire Cristo vuol dire entrare in questo cammino dell’umiltà. Il testo greco dice tapeinophrosyne (cfr Ef 4,2): non pensare in grande di se stessi, avere la misura giusta. Umiltà. Il contrario dell’umiltà è la superbia, come la radice di tutti i peccati. La superbia che è arroganza, che vuole soprattutto potere, apparenza, apparire agli occhi degli altri, essere qualcuno o qualcosa, non ha l’intenzione di piacere a Dio, ma di piacere a se stessi, di essere accettati dagli altri e – diciamo – venerati dagli altri. L’«io» al centro del mondo: si tratta del mio io superbo, che sa tutto. Essere cristiano vuol dire superare questa tentazione originaria, che è anche il nucleo del peccato originale: essere come Dio, ma senza Dio; essere cristiano è essere vero, sincero, realista. L’umiltà è soprattutto verità, vivere nella verità, imparare la verità, imparare che la mia piccolezza è proprio la grandezza, perché così sono importante per il grande tessuto della storia di Dio con l’umanità. Proprio riconoscendo che io sono un pensiero di Dio, della costruzione del suo mondo, e sono insostituibile, proprio così, nella mia piccolezza, e solo in questo modo, sono grande. Questo è l’inizio dell’essere cristiano: è vivere la verità. E solo vivendo la verità, il realismo della mia vocazione per gli altri, con gli altri, nel corpo di Cristo, vivo bene. Vivere contro la verità è sempre vivere male. Viviamo la verità! Impariamo questo realismo: non voler apparire, ma voler piacere a Dio e fare quanto Dio ha pensato di me e per me, e così accettare anche l’altro. L’accettare l’altro, che forse è più grande di me, suppone proprio questo realismo e l’amore della verità; suppone accettare me stesso come «pensiero di Dio», così come sono, nei miei limiti e, in questo modo, nella mia grandezza. Accettare me stesso e accettare l’altro vanno insieme: solo accettando me stesso nel grande tessuto divino posso accettare anche gli altri, che formano con me la grande sinfonia della Chiesa e della creazione. Io penso che le piccole umiliazioni, che giorno per giorno dobbiamo vivere, sono salubri, perché aiutano ognuno a riconoscere la propria verità ed essere così liberi da questa vanagloria che è contro la verità e non mi può rendere felice e buono. Accettare e imparare questo, e così imparare ad accettare la mia posizione nella Chiesa, il mio piccolo servizio come grande agli occhi di Dio. E proprio questa umiltà, questo realismo, rende liberi. Se sono arrogante, se sono superbo, vorrei sempre piacere e se non ci riesco sono misero, sono infelice e devo sempre cercare questo piacere. Quando invece sono umile ho la libertà anche di essere in contrasto con un’opinione prevalente, con pensieri di altri, perché l’umiltà mi dà la capacità, la libertà della verità. E così, direi, preghiamo il Signore perché ci aiuti, ci aiuti ad essere realmente costruttori della comunità della Chiesa; che cresca, che noi stessi cresciamo nella grande visione di Dio, del «noi», e siamo membra del Corpo di Cristo, appartenente così, in unità, al Figlio di Dio.

La seconda virtù - ma siamo più brevi – è la «dolcezza», dice la traduzione italiana (Ef 4,2), in greco è praus, cioè «mite, mansueto»; e anche questa è una virtù cristologica come l’umiltà, che è seguire Cristo su questa strada della umiltà. Così anche praus, essere mite, essere mansueto, è sequela di Cristo che dice: Venite da me, io sono mite di cuore (cfr Mt 11,29). Questo non vuol dire debolezza. Cristo può essere anche duro, se necessario, ma sempre con un cuore buono, rimane sempre visibile la bontà, la mansuetudine. Nella Sacra Scrittura, qualche volta, «i mansueti» è semplicemente il nome dei credenti, del piccolo gregge dei poveri che, in tutte le prove, rimangono umili e fermi nella comunione del Signore: cercare questa mitezza, che è il contrario della violenza. La terza beatitudine. Il Vangelo di san Matteo dice: felici i mansueti, perché possederanno la terra (cfr Mt 5,5). Non i violenti possiedono la terra, alla fine rimangono i mansueti: essi hanno la grande promessa, e così noi dobbiamo essere proprio sicuri della promessa di Dio, della mitezza che è più forte della violenza. In questa parola della mansuetudine si nasconde il contrasto con la violenza: i cristiani sono i non violenti, sono gli oppositori della violenza.

E san Paolo prosegue: «con magnanimità» (Ef 4,2): Dio è magnanimo. Nonostante le nostre debolezze e i nostri peccati, sempre di nuovo comincia con noi. Mi perdona, anche se sa che domani cadrò di nuovo nel peccato; distribuisce i suoi doni, anche se sa che siamo spesso amministratori insufficienti. Dio è magnanimo, di grande cuore, ci affida la sua bontà. E questa magnanimità, questa generosità fa parte proprio della sequela di Cristo, di nuovo.

Infine, «sopportandovi a vicenda nell’amore» (Ef 4,2); mi sembra che proprio dall’umiltà segua questa capacità di accettare l’altro. L’alterità dell’altro è sempre un peso. Perché l’altro è diverso? Ma proprio questa diversità, questa alterità è necessaria per la bellezza della sinfonia di Dio. E dobbiamo, proprio con l’umiltà nella quale riconosco i miei limiti, la mia alterità nel confronto con l’altro, il peso che io sono per l’altro, divenire capaci non solo di sopportare l’altro, ma, con amore, trovare proprio nell’alterità anche la ricchezza del suo essere e delle idee e della fantasia di Dio.

Tutto questo, quindi, serve come virtù ecclesiale alla costruzione del Corpo di Cristo, che è lo Spirito di Cristo, perché divenga di nuovo esempio, di nuovo corpo, e cresca. Paolo lo dice poi in concreto, affermando che tutta questa varietà dei doni, dei temperamenti, dell’essere uomo, serve per l’unità (cfr Ef 4,11-13). Tutte queste virtù sono anche virtù dell’unità. Per esempio, per me è molto significativo che la prima Lettera dopo il Nuovo Testamento, la Prima Lettera di Clemente, sia indirizzata ad una comunità, quella dei Corinzi, divisa e sofferente per la divisione (cfr PG 1, 201-328). In questa Lettera, proprio la parola «umiltà» è una parola chiave: sono divisi perché manca l’umiltà, l’assenza dell’umiltà distrugge l’unità. L’umiltà è una fondamentale virtù dell’unità e solo così cresce l’unità del Corpo di Cristo, diventiamo realmente uniti e riceviamo la ricchezza e la bellezza dell’unità. Perciò è logico che l’elenco di queste virtù, che sono virtù ecclesiali, cristologiche, virtù dell’unità, vada verso l’unità esplicita: «un solo Signore, una sola fede, un solo Battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti» (Ef 4,5). Una sola fede e un solo Battesimo, come realtà concreta della Chiesa che sta sotto l’unico Signore.

Battesimo e fede sono inseparabili. Il Battesimo è il Sacramento della fede e la fede ha un duplice aspetto. E’ un atto profondamente personale: io conosco Cristo, mi incontro con Cristo e do fiducia a Lui. Pensiamo alla donna che tocca il suo vestito nella speranza di essere salvata (cfr Mt 9, 20-21); si affida a Lui totalmente e il Signore dice: Sei salva, perché hai creduto (cfr Mt 9, 22). Anche ai lebbrosi, all’unico che ritorna, dice: La tua fede ti ha salvato (cfr Lc 17, 19). Quindi la fede inizialmente è soprattutto un incontro personale, un toccare il vestito di Cristo, un essere toccato da Cristo, essere in contatto con Cristo, affidarsi al Signore, avere e trovare l’amore di Cristo e, nell’amore di Cristo, la chiave anche della verità, dell’universalità. Ma proprio per questo, perché chiave dell’universalità dell’unico Signore, tale fede non è solo un atto personale di fiducia, ma un atto che ha un contenuto. La fides qua esige la fides quae, il contenuto della fede, e il Battesimo esprime questo contenuto: la formula trinitaria è l’elemento sostanziale del credo dei cristiani. Esso, di per sé, è un «sì» a Cristo, e così al Dio Trinitario, con questa realtà, con questo contenuto che mi unisce a questo Signore, a questo Dio, che ha questo Volto: vive come Figlio del Padre nell’unità dello Spirito Santo e nella comunione del Corpo di Cristo. Quindi, questo mi sembra molto importante: la fede ha un contenuto e non è sufficiente, non è un elemento di unificazione se non c’è e non viene vissuto e confessato questo contenuto della unica fede.

Perciò, «Anno della Fede», Anno del Catechismo - per essere molto pratico - sono collegati imprescindibilmente. Rinnoveremo il Concilio solo rinnovando il contenuto - condensato poi di nuovo - del Catechismo della Chiesa Cattolica. E un grande problema della Chiesa attuale è la mancanza di conoscenza della fede, è l’«analfabetismo religioso», come hanno detto i Cardinali venerdì scorso circa questa realtà. «Analfabetismo religioso»; e con questo analfabetismo non possiamo crescere, non può crescere l’unità. Perciò dobbiamo noi stessi appropriarci di nuovo di questo contenuto, come ricchezza dell’unità e non come un pacchetto di dogmi e di comandamenti, ma come una realtà unica che si rivela nella sua profondità e bellezza. Dobbiamo fare il possibile per un rinnovamento catechistico, perché la fede sia conosciuta e così Dio sia conosciuto, Cristo sia conosciuto, la verità sia conosciuta e cresca l’unità nella verità.

Poi tutte queste unità finiscono nel: «un solo Dio e Padre di tutti». Tutto quanto non è umiltà, tutto quanto non è fede comune, distrugge l’unità, distrugge la speranza e rende invisibile il Volto di Dio. Dio è Uno e Unico. Il monoteismo era il grande privilegio di Israele, che ha conosciuto l’unico Dio, e rimane elemento costitutivo della fede cristiana. Il Dio Trinitario - lo sappiamo - non sono tre divinità, ma è un unico Dio; e vediamo meglio che cosa voglia dire unità: unità è unità dell’amore. E’ così: proprio perché è il circolo di amore, Dio è Uno e Unico.

Per Paolo, come abbiamo visto, l’unità di Dio si identifica con la nostra speranza. Perché? In che modo? Perché l’unità di Dio è speranza, perché questa ci garantisce che, alla fine, non ci sono diversi poteri, alla fine non c’è dualismo tra poteri diversi e contrastanti, alla fine non rimane il capo del drago che si potrebbe levare contro Dio, non rimane la sporcizia del male e del peccato. Alla fine rimane solo la luce! Dio è unico ed è l’unico Dio: non c’è altro potere contro di Lui! Sappiamo che oggi, con i mali che viviamo nel mondo sempre più crescenti, molti dubitano dell’Onnipotenza di Dio; anzi diversi teologi – anche buoni – dicono che Dio non sarebbe Onnipotente, perché non sarebbe compatibile con l’onnipotenza quanto vediamo nel mondo; e così essi vogliono creare una nuova apologia, scusare Dio e «discolpare» Dio da questi mali. Ma questo non è il modo giusto, perché se Dio non è Onnipotente, se ci sono e rimangono altri poteri, non è veramente Dio e non è speranza, perché alla fine rimarrebbe il politeismo, alla fine rimarrebbe la lotta, il potere del male. Dio è Onnipotente, l’unico Dio. Certo, nella storia si è dato un limite alla sua onnipotenza, riconoscendo la nostra libertà. Ma alla fine tutto ritorna e non rimane altro potere; questa è la speranza: che la luce vince, l’amore vince! Alla fine non rimane la forza del male, rimane solo Dio! E così siamo nel cammino della speranza, camminando verso l’unità dell’unico Dio, rivelatosi per lo Spirito Santo, nell’Unico Signore, Cristo.

Poi da questa grande visione, san Paolo scende un po’ ai dettagli e dice di Cristo: «Asceso in alto ha portato con sé i prigionieri, ha distribuito doni agli uomini» (Ef 4,8). L’Apostolo cita il Salmo 68, che descrive in modo poetico la salita di Dio con l’Arca dell’Alleanza verso le altezze, verso la cima del Monte Sion, verso il tempio: Dio come vincitore che ha superato gli altri, che sono prigionieri, e, come un vero vincitore, distribuisce doni. Il Giudaismo ha visto in questo piuttosto un’immagine di Mosé, che sale verso il Monte Sinai per ricevere nell’altezza la volontà di Dio, i Comandamenti, non considerati come peso, ma come il dono di conoscere il Volto di Dio, la volontà di Dio. Paolo, alla fine, vede qui un’immagine dell’ascesa di Cristo che sale in alto dopo essere sceso; sale e tira l’umanità verso Dio, fà posto per la carne e il sangue in Dio stesso; ci tira verso l’altezza del suo essere Figlio e ci libera dalla prigionia del peccato, ci rende liberi perché vincitore. Essendo vincitore, Egli distribuisce i doni. E così siamo arrivati dall’ascesa di Cristo alla Chiesa. I doni sono la charis come tale, la grazia: essere nella grazia, nell’amore di Dio. E poi i carismi che concretizzano la charis nelle singole funzioni e missioni: apostoli, profeti, evangelisti, pastori e maestri per edificare così il Corpo di Cristo (cfr Ef 4,11).

Non vorrei entrare adesso in un’esegesi dettagliata. E’ molto discusso qui che cosa voglia dire apostoli, profeti… In ogni caso, possiamo dire che la Chiesa è costruita sul fondamento della fede apostolica, che rimane sempre presente: gli Apostoli, nella successione apostolica, sono presenti nei Pastori, che siamo noi, per la grazia di Dio e nonostante tutta la nostra povertà. E siamo grati a Dio che ci ha voluto chiamare per stare nella successione apostolica e continuare ad edificare il Corpo di Cristo. Qui appare un elemento che mi sembra importante: i ministeri – i cosiddetti ministeri – sono chiamati «doni di Cristo», sono carismi; cioè, non c’è questa opposizione: da una parte il ministero, come una cosa giuridica, e dall’altra i carismi, come dono profetico, vivace, spirituale, come presenza dello Spirito e la sua novità. No! Proprio i ministeri sono dono del Risorto e sono carismi, sono articolazioni della sua grazia; uno non può essere sacerdote senza essere carismatico. E’ un carisma essere sacerdote. Questo - mi sembra - dobbiamo tenerlo presente: essere chiamato al sacerdozio, essere chiamato con un dono del Signore, con un carisma del Signore. E così, ispirati dal suo Spirito, dobbiamo cercare di vivere questo nostro carisma. Solo in questo modo penso si possa capire che la Chiesa in Occidente ha collegato inscindibilmente sacerdozio e celibato: essere in un’esistenza escatologica verso l’ultima destinazione della nostra speranza, verso Dio. Proprio perché il sacerdozio è un carisma e deve essere anche collegato con un carisma: se non fosse questo e fosse solamente una cosa giuridica, sarebbe assurdo imporre un carisma, che è un vero carisma; ma se il sacerdozio stesso è carisma, è normale che conviva con il carisma, con lo stato carismatico della vita escatologica.

Preghiamo il Signore perché ci aiuti a capire sempre di più questo, a vivere sempre più nel carisma dello Spirito Santo e a vivere così anche questo segno escatologico della fedeltà al Signore Unico, che proprio per il nostro tempo è necessario, con la decomposizione del matrimonio e della famiglia, che possono comporsi solo nella luce di questa fedeltà all’unica chiamata del Signore.

Un ultimo punto. San Paolo parla della crescita dell’uomo perfetto, che raggiunge la misura della pienezza di Cristo: non saremo più fanciulli in balia delle onde, trasportati da qualsiasi vento di dottrina (cfr Ef 4,13-14). «Al contrario, agendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa, tendendo a Lui» (Ef 4,15). Non si può vivere in una fanciullezza spirituale, in una fanciullezza di fede: purtroppo, in questo nostro mondo, vediamo questa fanciullezza. Molti, oltre la prima catechesi, non sono più andati avanti; forse è rimasto questo nucleo, forse si è anche distrutto. E del resto, essi sono sulle onde del mondo e nient’altro; non possono, come adulti, con competenza e con convinzione profonda, esporre e rendere presente la filosofia della fede - per così dire - la grande saggezza, la razionalità della fede, che apre gli occhi anche degli altri, che apre gli occhi proprio su quanto è buono e vero nel mondo. Manca questo essere adulti nella fede e rimane la fanciullezza nella fede.

Certo, in questi ultimi decenni, abbiamo vissuto anche un altro uso della parola «fede adulta». Si parla di «fede adulta», cioè emancipata dal Magistero della Chiesa. Fino a quando sono sotto la madre, sono fanciullo, devo emanciparmi; emancipato dal Magistero, sono finalmente adulto. Ma il risultato non è una fede adulta, il risultato è la dipendenza dalle onde del mondo, dalle opinioni del mondo, dalla dittatura dei mezzi di comunicazione, dall’opinione che tutti pensano e vogliono. Non è vera emancipazione, l’emancipazione dalla comunione del Corpo di Cristo! Al contrario, è cadere sotto la dittatura delle onde, del vento del mondo. La vera emancipazione è proprio liberarsi da questa dittatura, nella libertà dei figli di Dio che credono insieme nel Corpo di Cristo, con il Cristo Risorto, e vedono così la realtà, e sono capaci di rispondere alle sfide del nostro tempo.

Mi sembra che dobbiamo pregare molto il Signore, perché ci aiuti ad essere emancipati in questo senso, liberi in questo senso, con una fede realmente adulta, che vede, fa vedere e può aiutare anche gli altri ad arrivare alla vera perfezione, alla vera età adulta, in comunione con Cristo.

In questo contesto c’è la bella espressione dell’aletheuein en te agape, essere veri nella carità, vivere la verità, essere verità nella carità: i due concetti vanno insieme. Oggi il concetto di verità è un po’ sotto sospetto perché si combina verità con violenza. Purtroppo nella storia ci sono stati anche episodi dove si cercava di difendere la verità con la violenza. Ma le due sono contrarie. La verità non si impone con altri mezzi, se non da se stessa! La verità può arrivare solo tramite se stessa, la propria luce. Ma abbiamo bisogno della verità; senza verità non conosciamo i veri valori e come potremo ordinare il kosmos dei valori? Senza verità siamo ciechi nel mondo, non abbiamo strada. Il grande dono di Cristo è proprio che vediamo il Volto di Dio e, anche se in modo enigmatico, molto insufficiente, conosciamo il fondo, l’essenziale della verità in Cristo, nel suo Corpo. E conoscendo questa verità, cresciamo anche nella carità che è la legittimazione della verità e ci mostra che è verità. Direi proprio che la carità è il frutto della verità - l’albero si conosce dai frutti – e se non c’è carità, anche la verità non è propriamente appropriata, vissuta; e dove è la verità, nasce la carità. Grazie a Dio, lo vediamo in tutti i secoli: nonostante i fatti negativi, il frutto della carità è sempre stato presente nella cristianità e lo è oggi! Lo vediamo nei martiri, lo vediamo in tante suore, frati e sacerdoti che servono umilmente i poveri, i malati, che sono presenza della carità di Cristo. E così sono il grande segno che qui è la verità.

Preghiamo il Signore perché ci aiuti a portare il frutto della carità ed essere così testimoni della sua verità. Grazie.



giovedì 23 febbraio 2012

LA MESSA-ROCK DI DON STEFANIO ZENI : LA RICREAZIONE E' FINITA !!!



http://blog.messainlatino.it/2012/02/cristo-deriso-e-flagellato-la-messa.html

Raccoglieremo alcuni commenti sulla deprecabile iniziativa del Prof.don STEFANO ZENI
della Messa-rock di Albiano apparsi su Messainlatino, su Fides et forma e sulla mia pagina di Facebook .
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Da MiL ( nei tre post dedicati all'iniziativa blasfema)

OB_SERVER Io vorrei sapere se la curia di Trento conosce i documenti del Sacro Magistero.
La musica tipica della liturgia è il gregoriano (che guardacaso è in latino) lo strumento principe è l'organo,
le musiche e i testi nel caso di traduzione in volgare debbono essere adatte al luogo e all'edificazione spirituale dei fedeli (TUTTI e non solo i rockettari).
Ora se le musiche rock sono musiche liturgiche e se i testi in inglese della band metallara, sono compernsibili più di quelli del Te Deum o del Salve Regina, sono più sobri e sono pure spiritualmente edificanti, allora è chiaro che quà siamo di fronte a dei mentecatti che dicono assurdità.

Questi vescovi hanno fatto il loro tempo e i loro deliri da figli dei fiori hanno ben mostrato i risultati:
chiese e seminari sempre più vuoti e iniziative prive di ogni spiritualità e decoro e dignità diventano il
metro ed il segno del loro disperante fallimento ideologico e pastorale.

Queste ultime vaccate tipo messa rock o altre porcherie dimostrano solo una cosa: la perniciosità
e la vanità di questi pastori e delle loro azioni pastorali.... ma orami sono vecchi e stanchi... presto finiranno nel sifone della storia dove è giusto che vadano a finire. Preghiamo perchè almeno prima di lasciare questo mondo si convertano.

La vera gioventù della Chiesa sono i giovani che chiedono il Summorum, sono i trecento di trento che
hanno inaugurato la Messa Tridentina... questi simulacri di modernismo scaduto, questi vecchi arnesi gustati dalla ideologia e dalla mondanità e spesso dalla eresia e dal sacrilegio, sono orami prossimi al declino, i loro sogni di gloria hanno entrambi i piedi nella fossa.

hanno voglia a tentare di riempire le loro "aule liturgiche" di rockettari, hanno voglia a improvvisare nelle chiese boutade, teatrini, mostre e balletti.... il loro compito era altro ed hanno fallito... non sono serviti a niente neppure come coreografi, figuriamoci come pastori di anime.

Il Vescovo di Trento è come la Carrà: sgambetta ancora ma non diverte, più che altro è patetica... al massimo fa tenerezza....

Il nuovo che avanza nell continuità della Sacra Tradizione li ha già sconfitti.... loro non sanno rassegnarsi,
ma saranno deposti come è giusto che sia a meditare sui loro danni e fallimenti pluridecennali.

Tanti auguri Eccellenza, per la sua prossima pensione... per le sue perplessità e per le sue certezze (magari rockettare).... e buon tuca tuca.... a lei e ai suoi sacerdoti schitarranti....regia di Iapino...  


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 Un tempo Santi e predicatori andavano nelle piazze e nei mercati, tra i peccatori, i ladri e le prostitute, per convertire e ricondurre sulla retta via, per toglierli dal trivio e portarli alla Santa Messa, oggi questi buffoni, questi guitti e saltimbanchi, poratno il postribolo ed il trivio in Chiesa durante la Santa Messa per fare in modo che peccatori, prostitute e miscredenti non si sentano lontani dalle loro abitudini. Lo spunto di riflessione che si portano a casa costoro è prosaico ma va pur spiegato: se questo bordello si fa in chiesa
così come nelle bettole dove mi piace gozzovigliare, allora significa che posso starci tranquillo, quà ci torno
al prossimo baccanale.... tanto se in chiesa fanno quello che si fa nelle bettole significa che ho sempre fatto bene a scegliere la mia bettola liberamente ed adesso questi poveracci di preti hanno ammesso che
la loro è solo ipocrisia. A loro interessa solo avere pubblico, non hanno nè principi, nè nulla a che vedere con realtà metafisiche e sacrali, vogliono solo imbonire la gente e farla divertire perchè resti nel pollaio sotto la loro gestione.

Questo è lo spunto di riflessione che molti si sono portati a casa caro Signor Zeni (il Don non ce lo spreco finchè costui non si pentirà per le indegnità che commette e che dice).

Non è Dio che ti ha dato l'opportunità di fare schifo caro Zeni, Lui ti ha donato la libertà è tu la usi per fare schifo..... non giudico te io, giudico quello che fai e quello che fai è uno schifo.

Pregherò per te perchè tu possa giungere al giorno del tuo giudizio particolare davanti a Domine Dio, pentito per quello che hai fatto.

Invito tutti i lettori a fare altrettanto, e pregare perchè costui si penta e converta, perchè se costui non si pente ed ascrivendo alle possibilità volontariamente date date da Dio Dio anzichè alle sue errate azioni e subite pulsoni mondane, queste indegnità... quando tremante davanti al Re dei Re sarà giudicato, temo che finirà a far compagnia a satana.

RICCARDO La liturgia e' linguaggio di Dio per gli uomini, non linguaggio dell' uomo per altri uomini. La liturgia e' una azione umana e Divina, attraverso di essa c' e' l' incontro con il Signore, la nostra parte di azione liturgica cerchiamo di farla bene, per Gesu' non per il rok. la messa rok contraddice tutte le indicazioni magisteriali in materia di musica sacra, anche recenti. I giovani non ci andranno, se non quelli dei "gruppi Cresima", portati dalla organizzazione pastorale. I ragazzi sono il futuro della Comunita' Cristiana, per fortuna, sappiamo benissimo che questo futuro non si potra' costruire attraverso queste musichette, se fosse cosi': saremmo messi proprio male!

GIOVANNI PIERLUIGI La curia di Trento non dimostra molta saggezza. Il vescovo di Trento dovrebbe però leggere i documenti conciliari e scoprirebbe che le messe heavy metal non sono seguono affatto il testo e lo spirito del Vaticano II. Il Concilio infatti prevede che il gregoriano abbia il primo posto, la polifonia classica il secondo e tante altre cose che immagino il vescovo ritenga superate.
Penso anche che a Trento si ritenga Benedetto XVI incompetente in fatto di liturgia, quando probilmente non lo hanno mai letto o, se lo hanno  letto, non lo hanno compreso.
A mio parere chi ha a cuore il bene delle Chiesa e della liturgia dovrebbe essere caritatevole nei confronti di questi discutibili pastori e spiegare loro con pazienza che cosa la Chiesa insegna in fatto di liturgia e musica sacra. Anche il fatto che il giornale diocesano sia così tracotante nei confronti dei "tradizionalisti", che peraltro non fanno altro che praticare la libertà del cristiano sancita al più alto livello, conferma purtroppo che il problema maggiore della chiesa italiana sia l'autoreferenzialità e la scarsa apertura mentale e culturale dei
vescovi  e del clero.
2 ) La questione non è così semplice. Nelle chiesa ci sono norme contrastanti: le fonti primarie, se possiamo chiamarle così, come la Tradizione della Chiesa e i testi del Concilio Vaticano II dicono delle cose molto chiare, come ad esempio che i vescovi dovrebbero avere cura affinché i fedeli conoscano e sappiano cantare le parti dell'ordinario della Messa in latino (art 54). Ciò che la Cei e i vescovi italiani hanno fatto negli ultimi 40 anni è disattendere completamente questa norma, come quasi tutte le indicazioni conciliari in fatto di liturgia. Il semplice fedele si trova nella spiacevole situazione di vedere le fonti secondarie, cioè i propri vescovi e pastori, contraddire il mandato conciliare, anche se non hanno il coraggio di ammetterlo. Anche perché fino ad oggi quasi nessuno ha mai fatto notare ai vescovi che il loro atteggiarsi a difensori del concilio è una finzione, poiché è il Concilio che dice il contrario di ciò che essi fanno. Vorrei sapere se la Messa Metal è nello spirito degli articoli conciliari che parlano della musica sacra (dal 112 al 121 del documento "Sacrosantum Concilium"). Evidentemente no, eppure chi lo fa notare è bollato come preconciliare o anticonciliare. Strano paradosso! Che secondo me è originato  dalla scarsa cultura e dall'autoreferenzialità dei vescovi e del clero italiani. Non ci vuole la laurea in teologia per leggersi i documenti del Concilio e rendersi conto che i vescovi non li hanno mai messi in pratica. Anzi secondo me non li hanno nemmeno letti. Di certo non a Trento.
DAVIDE CAROLLO Questa formula delle Messe-show (chissa' perche' qualche parroco non ha ancora chiamato Fiorello?) ormai mostra da tempo i suoi limiti, ma a quanto pare si finge di non rendersene conto e si continua....
 Le danze liturgiche, le scialbe canzonette, le gestualita' da bans oratoriani ed altre stravaganze hanno ormai fatto il loro tempo e dimostrato la loro inefficacia... chissa' perche' la Messa Antica e' frequentata soprattutto da giovani?
Io stesso "cannai" clamorosamente le previsioni, pensando che con il Motu Proprio si sarebbero visti solo "nostalgici" fedeli e Sacerdoti ottuagenari...  
Rassegnatevi signori, le Messa con clown, nani, ballerine e veline (senza parlare di altri abusi liturgici) non attirano piu'....

AREKI (DON BERNARDO) "La mia casa è casa di preghiera e voi ne avete fatto una spelonca di ladri"
Il primo pensiero che mi è venuto in mente......
E il secondo va a quei ragazzi e giovani rocchettari che sono stati privati ancora una volta di poter fare una esperienza religiosa, una esperienza di sacro e di Dio..... Li si è lasciati nel loro misero mondo senza far loro balenare davanti l'esistenza di una realtà diversa, e grande, la realtà del Regno di Dio, la realtà dello Spirito, la realtà della Fede..... una Persona: Gesù che ha dato anche per loro il suo Sangue....

E poi se ne pagano le conseguenze: c'è chi diventa buddista, chi cerca l'estasi delle droghe e dello sballo, o chi la fa finita suicidandosi come alcuni giovani delle mie parti, soprattutto maschi (uno si è sparato, uno si è gettato da un viadotto, molti sono morti di incidenti .....) e perchè? Perchè non sanno più qual'è il senso della vita, perchè siamo a questo mondo, perchè chi potrebbe o dovrebbe farlo (i preti) non glielo dice più......

"Ci hai fatti per Te o Signore ed inquieto è il nostro cuore fino a che non riposa in te"....... Sant'Agostino che ammirava i canti della Chiesa ambrosiana...

E poi non ci lamentiamo se Celentano ci dice (a noi preti), parlateci di Dio, parlateci del senso della vita e della morte, parlateci dell'aldilà......

Quei ragazzi in cuor loro se non lo fanno adesso, divenuti adulti disprezzeranno certi uomini di chiesa che li hanno traditi e li hanno venduti per un piatto di lenticchie..... per trenta denari.......
Preghiamo per questi giovani e per i cattivi maestri del clero trentino
don Bernardo

SAVONAROLA Concordo con una frase del 'sacerdote': 'sara' Dio a giudicare'. Si Dio vi giudichera' per aver profanato la sua casa, per aver reso omaggio al suo nemico, per aver ridotto la Santa Messa, che anche se voi non ci credete, e' il sacrificio divino che ha salvato il mondo, e voi ne avete fatto uno squallido spettacolo, intriso della vostra miscredenza. Avete fatto venire dei giovani? Con qualche  film porno ne avreste attirati di piu'. E che beneficio ne hanno avuto? Hanno pregato? Non credo. Si sono convertiti? Certamente no. Hanno fatto la Comunione? Per molti e' stato un sacrilegio,e speriamo che le sante Particole siano state consumate sul posto e non asportate per il piu' abbietto degli scopi. Sarete giudicati e Dio vi dara' il giusto premio, non dubitate avrete tutto quello che meritate.  
  
Slobodanka Jokanovic 
Posso solo dire che sono indignata, in quanto fedele cattolica della Chiesa Romana Cattolica Apostolica . Io credo fermamente e fermamente difendo sacralita della Messa.

DON MAGNIFICO
 Se sono arrivati al punto che per catturare qualche ragazzino devono inventarsi simili sconcezze e profanare chiesa e culto fino a tal segno, perchè non organizzano direttamente un rave-party in canonica, trasformano la chiesa in un sexy shop e invitano, al posto di tale scalcagnata band di spostati, i Red Hot Chili Peppers? Avrebbero "gggggiovani a migliaia.
Con buona pace della curia di Trento e con una certa soddisfazione di Satana.
Non so se, arrivati a tal punto, i due ultimi suddetti siano così distanti!
Vergogna!

SOLI DEO GLORIA. PETRIOLO RECUPERATI PER L'USO LITURGICO QUATTRO BUSTI-RELIQUIARI SETTECENTESCHI





La Venerabile Confraternita del Santissimo Sacramento di Petriolo. Provincia di Macerata, Arcidiocesi di Fermo, proprietaria del Santuario della Madonna della Misericordia e dello stupendo Museo dei Legni processionali, ha lodevolmente fatto restaurare, per l’uso liturgico, quattro Busti reliquiari in legno intagliato e argentato, del sec. XVIII.
I Busti- Reliquiari ( foto) sono dei Santi : Romualdo Abate, Ambrogio Vescovo, Vito Martire, Pasquale Baylon.

Su  http://www.youtube.com/watch?v=_ZU5tdM4ETU&feature=related  il video sulle campane dello  campanile della Chiesa dei SS. Martino e Marco di Petriolo.

mercoledì 22 febbraio 2012

MERCOLEDI' DELLE CENERI, TOLENTINO













MERCOLEDI' DELLE CENERI 2012 ORE 18,30
TOLENTINO
CHIESA DEL SACRO CUORE, CENTRO STORICO,
BENEDIZIONE E IMPOSIZIONE DELLE CENERI,
SANTA MESSA CANTATA IN RITO ROMANO ANTICO 
E IN CANTO GREGORIANO 
CELEBRATA DAL REV.DO PARROCO DON ANDREA LEONESI
Gregorianista : Lodovico Valentini