giovedì 10 novembre 2011

" Per bocca di Leone, ha parlato Pietro" ( testo inedito)



















La carissima, insostituibile amica LDCaterina63, ci ha fatto dono, nel giorno della festa di San Leone Magno, Papa e Dottore della Chiesa, di questo testo, inedito, che ha nella sua collezione privata.
Grazie infinite !


"Per bocca di Leone, ha parlato Pietro"

L'opera contro gli eretici possiamo dire che fu la prima che gli si presentò, quando salì sulla Cattedra di san Pietro.
Genserico, re dei Vandali nell'anno 439, rotta la pace fatta con Valentiniano, riprese la sua conquista in armi dell'Africa, espugnando Cartagine.
La situazione che si presentava era che in Africa vivevano e si erano stanziate molte famiglie patrizie romane e, anzi, al momento dell'invasione di Alarico, molti Romani avevano abbandonato la città rifugiandosi oltremare ove avevano stanziato i propri possedimenti in terre allora ricche, fertili, e soprattutto, sicure da ogni minaccia di invasione, e in Africa, in quei tempi, la vita prometteva prosperità, sicurezza.
Cartagine stessa era allora una città bella, ricca, accattivante, con edifici sontuosi, un porto traboccante di attività, scuole e biblioteche, circhi, teatri, terme e giardini. Professori di retorica e di filosofia facevano le loro lezioni nelle pubbliche scuole in greco e in latino.
Ma non era tutto rose e fiori!
In mezzo a tanta prosperità, ricchezza e benessere, era dilagato anche il vizio, molto diffuso soprattutto negli ambienti benestanti che costituivano la maggioranza della popolazione, la prostituzione era largamente diffusa e, attraverso il porto, approdavano navi da ogni parte del Mediterraneo, mercanti dall'Egitto, dalla Grecia, dalla Siria, dandosi convegno portando ognuno non solo scambi di merci, ma anche di uomini, servi, o per solo diletto carnale, inoltre ognun portava con sé anche la propria religione, le sue superstizioni, riuscendo a coalizzarsi fra loro pur di scacciare dalla città il Cristianesimo, visto già allora, come religione che castigava i costumi osceni, le perversioni sessuali, la prostituzione, il benessere e la ricchezza intese come una anarchia verso i Comandamenti del Signore.
Nessun luogo come questo, in quei tempi, era così favorevole al propagarsi delle eresie e dei peccati più gravi, in questi tempi dovette fare i conti il Pontificato di Papa Leone I detto Magno.
Sappiamo inoltre quanto fosse diffuso in Africa il manicheismo, venuto dalla Persia, a darci ricche informazione fu il grande sant'Agostino di Ipponia nelle sue Confessioni, chè egli pure, in gioventù, ne fu traviato cadendo in questa eresia.

Ora, l'invesione violenta di Genserico, aveva fatto scappare molta gente da Cartagine: famiglie Romane, che fuggite al tempo di Alarico, qui vi trovarono rifugio, tornarono a chiedere asilo alla Città Eterna.
E Roma aprì loro il proprio seno, ma con loro essi portarono i vizi, i peccati e le false religioni che lì avevano imparato. L'errore manicheo, con tutte l'immoralità che si portava, cominciò così a dilagare anche nella Città di Roma.
Appena Papa Leone venne messo al corrente, e lui stesso verificò certi cambiamenti, immediatamente agì per porre al riparo il gregge innocente e puro: fece raccogliere i libri dei Manichei, e dopo avergli dato una lettura, preoccupato dei contenuti abominevoli contenuti, li fece bruciare in pubblico, e in pubblico pronunciò un sermone per spiegare e mettere in guardia i fedeli e il popolo di Roma, contro questo pericolo insidioso.
E quando venne informato che taluni, recidivi, andavano imperterriti nelle comunità cristiane per sovvertire la pace dottrinale, invocò giustizia dall'autorità civile la quale, dopo una consultazione, li condannò all'esilio fino a quando non avessero rinunciato ai loro perversi intrighi di corruzione delle anime.
Nel frattempo il Papa inviò un messaggio ai Vescovi per avvisarli di quanto fosse accaduto a Roma, mettendoli in guardia dalla minaccia incombente, e perchè fossero attenti e vigili, nelle proprie Diocesi, per non permettere il diffondersi di tale eresia.

E mentre la lotta contro i Manichei ebbe così un carattere assai più limitato, la Chiesa continuava la sua battaglia contro l'Arianesimo.
E mentre si riconosceva la consustanzialità del Verbo divino coll'unica Natura del Padre e dello Spirito Santo, pur rimanendo distinte le tre Persone, i dibattiti s'erano spostati sulla Divina Persona di nostro Signore Gesù Cristo +: come si doveva concepire, in Lui, l'unione del Verbo Divino coll'Essere anche veramente uomo e Figlio vero di Maria Santissima?
Si manifestarono nella Chiesa due tendenze divergenti:
- l'una, quella proveniente dall'arianesimo, riconoscendo integre in Gesù Cristo + l'umanità e la divinità, cercava di spiegare il Mistero contenuto, ammettendo un influsso eccelso e permanente del Verbo, dell'ispiriazione profetica, una specie di "assistenza costante del Padre e dello Spirito Santo sul Figlio";
- l'altra, notando giustamente che, rimanendo in questo concetto, si negava l'integrità divina del Verbo Incarnato, tendeva piuttosto a sacrificare, tuttavia anch'essa finiva per sacrificare l'essere umano, cioè, la perfetta umanità di Cristo assunta dalla Beata Vergine Maria, di Cui Gli era Figlio in pienezza e completezza, composta di carne e sangue, anima e corpo, perfettamente operante e vivente come la nostra, tale offuscamento spostava una propria tendenza esclusivamente al rigore della divinità del Verbo.

La prima tendenza, che s'incentrava in Teodoro di Mopsuestia ed in Nestorio, era stata condannata dal Concilio di Efeso del 431 per opera di san Cirillo d'Alessandria, appoggiato e sostenuto dal Papa Celestino.
Ma neppure i sermoni di san Cirillo furono sufficienti a chiarire la situazione, anzi, dopo la morte di lui, un suo ammiratore, l'archimandrita Eutiche di Costantinopoli, prese a sostenere pubblicamente che in Cristo non potevano ammettersi le due nature, la divina e l'umana, reali e distinte, ma un'unica natura scaturendo nel monofismo.
Ma questa era una assurdità che faceva volatizzare l'umanità di Cristo! la quale non era più, per loro, consustanziale alla nostra, compromettendo il ruolo dell'Incarnazione, il Mistero della Redenzione, il ruolo della Vergine Madre, la consustanzialità di quell'invito del Cristo stesso del conformarci a Lui nell'agire come umanamente Egli agì, e nel conseguire il premio in quel divenire come Lui, divinizzando l'Uomo.
L'eresia di Eutiche venne condannata dal Vescovo Flaviano di Costantinopoli, ma come i superbi e gli orgogliosi, egli non si sottomise all'obbedienza e come recidivo si organizzò con i suoi seguaci mettendo in tumulto tutto l'Oriente Cristiano.
Il Vescovo Flaviano allora informò Papa Leone supplicandolo di intervenire e celebre e famosa rimase la sua risposta attraverso una Lettera:
la natura Umana e Divina - scriveva Leone Magno - sono unite ipostaticamente in Gesù, vale a dire che, rimanendo integre e perfette nel loro operare, costituiscono un'unica Persona.
Questa definizione non piacque ad Eutiche e neppure al Vescovo Dioscoro di Alessandria i quali, godendo i favori della corte imperiale, rifecero adunare un concilio ad Efeso che, dopo aver torturato il Vescovo Flaviano, e dopo aver usato violenza contro gli inviati del Pontefice e contro tutti i Vescovi loro contrari, ottennero dalla corte imperiale la condanna dei loro avversari e persino la condanna della Lettera di Papa Leone.
Papa Leone protestò, seppur inutilmente, apertamente e ripetutamente contro l'inaudita prepotenza ed interferenza della corte imperiale, insistendo sulla dottrina da lui insegnata, ma non potè opporsi sulla decisione della Corte, che domandava così un nuovo Concilio.
Questo Concilio infatti si riunì nell'anno 451 a Calcedonia, sul Bosforo; Leone non vi potè recarsi di persona a causa anche della situazione politica in Italia e di problemi che regnavano a Roma, ma inviò i suoi legati col compito esplicito di far accettare a tutti quella Lettera dogmatica, ch'egli aveva inviato al vescovo Floriano.

Ed eccoci alla famosa frase che è incisa a pié di questo articolo.
Nonostante le aspre contese, che resero difficile l'opera apologetica nei lavori del concilio, i legati pontifici riuscirono a raccogliere il suffragio della gran parte dei Vescovi radunati, e quando ebbero finita la lettura della Lettera di Papa Leone, davanti a tutta l'assemblea, dopo un breve silenzio che scese in tutta l'aula del convito, un solo grido si alzò in tutta l'assemblea:
" Per bocca di Leone, ha parlato Pietro!"
Si narra di una leggenda, a proposito di questa epistola, che val bene ricordare: si narra che Leone, dopo averla scritta, la depositò sulla Tomba dell'Apostolo Pietro e, digiunando, pregando e facendo penitenze per quattordici giorni consecutivi, supplicò al Principe degli Apostoli di aiutarlo in quest'ora difficile e di "correggergli" il testo per renderlo convincente e impugnabile.
In capo alle due settimane, sembra che Papa Leone abbia trovato il suo scritto "corretto dal Principe degli Apostoli"....

Ma un'altra mina minacciava l'unità della Chiesa.
Il Concilio di Calcedonia aveva senza dubbio accettato la Lettera di Papa Leone nel campo dogmatico, tuttavia aveva aperto una breccia pericolosa. Dando un posto preminente al Patriarca di Costantinopoli, nel campo gerarchico, innalzandolo al di sopra anche dei due Patriarcati quali quello di Alessandria fondato da san Marco evangelista, e quello di Antiochia nel quale vi aveva governato anche san Pietro e nel quale, citato negli Atti degli apostoli, scaturì per la prima volta il termine di "cristiano", contro questa supremazia, insomma, che mirava alla piena autonomia di Costantinopoli da Roma stessa, Papa Leone comprese che si stava minacciando l'unità della Chiesa ed immediatamente, anche in questo caso, alzò energicamente la sua voce.
Nel 445 Velentiniano III aveva proclamato l'autorità ecclesiastica suprema di Roma nell'Impero Occidentale, e nel 449 scrivendo a Teodosio II, sosteneva che era indispensabile per conservare la pace degli Imperi d'Oriente e d'Occidente: "conservare intemerata la dignità della venerazione competente al Beato Apostolo Pietro, dimodochè il beatissimo Vescovo di Roma, a cui l'antichità istessa gli conferì il principato del sacerdozio sopra tutti, abbia possibilità e facoltà di giudicare circa la fede e i Vescovi".

Di questa autorità Leone si avvalse con man ferma per riordinare la gerarchia ecclesiastica che non poteva rilassarsi o restare indifferente, nel generale collasso del principio di autorità. Ed il suo intervento mite, ma anche energico, diretto, rapido ed improntato a giustizia, si fece sentire in tutto il mondo dell'epoca, in Gallia e nell'Illiria, con effetti solleciti e duraturi.
Papa Leone non rivendicava la sua autorità Petrina per ambizioni personali:
"Se qualcosa di bene io compio, gli è Cristo Signore, il quale, a mezzo mio, reca in atto l'opera. Non in me mi glorio, che senza di Lui non posso nulla, sì bene in Lui, che è ogni mio potere".
Così negli anni in cui l'unità dell'Impero si sgretolava miseramente, si affermava con la parola, con l'esempio e con l'azione la Missione della Chiesa per mezzo di Papa Leone Magno, in quella indistruttibile unità della vera Chiesa di Gesù Cristo.
L'eresia monofista sarebbe durata ancora molti secoli trascinando con sé non la vera Chiesa di Cristo, ma quelle comunità che pur volendosi dire cristiane, o cattoliche, in realtà vivevano già dissociate da questa Chiesa, minate nella decadenza dottrinale, nell'abbiezione più profonda del proprio orgoglio, della superbia, della disobbedienza al Principe degli Apostoli.


Fonte: Leone Magno e Gregorio Magno, i Papi grandi per Dottrina - 1940 - con imprimatur A.Traglia, Archiep. Caesarien.
e liberamente trascritto da LDCaterina63